Cerca
Close this search box.

Il sestiere di San Teodoro: Fassolo, Di Negro e le mura degli Angeli

La storia dell'antico Sestiere di San Teodoro, il nucleo di Fassolo e Di Negro, il Palazzo del Principe e via Milano

Il sestiere di S.Teodoro è uno dei sei antichi quartieri in cui era divisa la città di Genova. Era il sestiere più occidentale ed era anche quello che occupava la maggiore superficie, sebbene fosse il meno popoloso: ma la bassa densità abitativa si spiega facilmente con la sua posizione esterna rispetto al centro cittadino, come accadeva allo stesso modo per la zona collinare di Castelletto. Poiché anticamente il quartiere di Castelletto non esisteva, e le colline di Castelletto – Lagaccio[1] – Oregina erano divise tra il sestiere di S.Vincenzo e quello di S.Teodoro, quest’ultimo confinava a est con Pré e S.Vincenzo, a ovest con S.Pier d’Arena, a nord-ovest con Rivarolo, mentre a sud si affacciava sul bacino portuale.

Come già S.Vincenzo, S.Teodoro rimase per lungo tempo esterno alla città, venendo inglobato nel tessuto urbano soltanto con l’erezione della cinta muraria seicentesca. I suoi confini occidentali coincidevano quindi con il tracciato delle mura che dal forte Sperone scendeva lungo il crinale del Promontorio fino alla Lanterna, includendo Granarolo e Lagaccio, mentre quelli orientali scendevano – sempre seguendo le mura – dallo Sperone verso Porta delle Chiappe e il Castellaccio, comprendendo Oregina e giungendo a Principe tramite via S.Ugo.

L’attuale quartiere di S.Teodoro ha invece un’estensione molto più limitata di quello antico a causa delle riforme amministrative che hanno portato modifiche progressive ai confini, dapprima con la creazione della circoscrizione indipendente di Oregina – Lagaccio negli anni sessanta, sottraendo quindi due zone all’antico sestiere, e poi dal 1997 mediante la nascita delle grandi circoscrizioni, quando Oregina e Lagaccio sono finite nella circoscrizione di Centro Est (insieme a Castelletto, Pré, Molo, Maddalena, Portoria) mentre il resto del sestiere è entrato a far parte della circoscrizione di Centro Ovest insieme a Sampierdarena.

Il toponimo è legato alla chiesa di S.Teodoro: singolare è il fatto che l’edificio originario che diede nome all’intero sestiere (fatto indicativo della sua importanza) oggi non esiste più, distrutto nell’ambito dei grandi interventi urbanistici iniziati nell’Ottocento (vai al documentario “Genova nell’Ottocento” realizzato in collaborazione con la Fondazione Ansaldo) e protrattisi fino agli anni trenta del Novecento, che con la realizzazione delle grandi infrastrutture e il profondo rinnovamento degli spazi urbani conferirono a Genova un aspetto moderno e un ruolo fondamentale nel panorama economico nazionale (vai al documentario “Genova nel Novecento” realizzato in collaborazione con la Fondazione Ansaldo). Si dà il caso che buona parte di questi interventi andasse a stravolgere completamente l’assetto originario del ponente, a partire proprio dalla zona di S.Teodoro.

La chiesa primitiva risaliva sicuramente a prima del 1100, forse addirittura al 900 d.C.. Si trovava a pochi passi dal mare, sulla scogliera, all’altezza dell’attuale via Buozzi, e come tutti gli edifici di culto antichi aveva l’ingresso a ovest e il coro rivolto a levante[2]. Con la consacrazione, avvenuta proprio nel 1100, si procedette alla modifica della struttura, ampliata a tre navate e rimaneggiata in stile romanico; com’era consuetudine consolidata diverse famiglie nobili genovesi (tra cui soprattutto i Lomellini) contribuirono alla decorazione degli interni e delle varie cappelle. Affidata ai Canonici Regolari di Mortara (Agostiniani) fu da questi officiata fino al Quattrocento, poi passò ai Canonici Lateranensi che vi rimasero fino all’Ottocento quando la sua esistenza ebbe termine. Nel 1481 una bolla papale le conferì il titolo di Abbazia, cosicché vari conventi della zona finirono sotto la sua giurisdizione. Nel 1797 subì, insieme a moltissime altre chiese, le soppressioni napoleoniche: venne chiusa e i suoi beni artistici trafugati in Francia. Furono restituiti solo molti anni più tardi, e tra questi vi è un dipinto (Martirio di S.Sebastiano di Filippino Lippi) oggi conservato presso la galleria di Palazzo Bianco. Se con l’erezione della cinta muraria seicentesca la chiesa era già finita nascosta dai bastioni, nel primo decennio dell’Ottocento la sua posizione fu resa anche peggiore poiché finì soffocata dalla costruzione della strada per Sampierdarena, infossata al punto che solo il tetto emergeva dalla strada: per entrare in chiesa era necessario ormai percorrere una discesa. Venne definitivamente chiusa nel 1870 e contestualmente demolita facendola saltare in aria con le mine per fare spazio ai costruendi Magazzini Generali. Insieme ad essa furono abbattute tutte le strutture atte alla difesa costiera, ormai del tutto inutili, e si diede il via alla costruzione di nuovi moli ove collocare le nuove batterie da costa. Nel 1876 venne inaugurata la nuova chiesa di S.Teodoro, progettata e realizzata in stile neogotico, che è poi l’edificio che si vede ancora oggi affacciato su piazza Di Negro.

L’ANTICO SESTIERE DI SAN TEODORO

Il nucleo originario del sestiere è individuabile nella zona di Fassolo[3], poco fuori le mura cinquecentesche, dove si era formato un paese di via – abitato da famiglie di pescatori e lavandaie – lungo la direttrice che uscendo dalla città menava a ponente, direttrice delimitata a mare dalla scogliera e dalla spiaggia e a monte dalle colline solcate da diversi rivi. Da qui partivano inoltre diverse mulattiere verso l’entroterra, e la funzione di assistenza ai viandanti tipica dei borghi come questo è testimoniata anche dalla presenza di strutture come l’Abbazia di S.Benigno (sul Promontorio di Capo di Faro a breve distanza dal paese) o il Convento di S.Maria degli Angeli, entrambi con annesso ospitale. Il percorso ovest-est andava lungo le attuali via di Fassolo e via S.Benedetto, passando dietro i terreni poi scelti dall’ammiraglio Andrea Doria nel Cinquecento per la sua residenza, e giungendo nell’attuale piazza Principe, alla porta di S.Tomaso, da dove proseguiva verso il centro urbano[4].

In direzione opposta lungo la via si apriva piazza Di Negro, che delimitava a occidente l’antico borgo: oltre tale slargo era il fossato di S.Lazzaro e la strada virava verso nord con salita degli Angeli per andare verso Sampierdarena e Rivarolo, passando inoltre per Certosa, Fegino, Sestri. Fino all’Ottocento, quando cominciarono i riempimenti per l’ampliamento delle strutture portuali, la piazza – come l’intero borgo del resto – aveva il mare a pochi metri di distanza. Era luogo di incontro degli abitanti del borgo, che qui si ritrovavano per ballare e giocare a pallamaglio o alle bocce, ma era anche il punto in cui fin dal Duecento si eseguivano le impiccagioni, sulle numerose forche poste lungo il ciglio del fossato di S.Teodoro. Il nome della piazza deriva dall’omonima famiglia patrizia che qui, come molte altre, fece edificare la dimora di villeggiatura ancora oggi esistente: villa Di Negro, poi Durazzo, poi Rosazza, eretta nel XVI secolo e dotata di un ampio giardino che giungeva fino alla riva, scomparso con la costruzione delle strade nell’Ottocento, e di un parco, estremamente scenografico perché adagiato sulla collina retrostante, ancora presente.

Oltre ai Di Negro, avevano le loro residenze a Fassolo i Fregoso, i Doria, i Lomellini. I palazzi dei Fregoso e dei Lomellini furono demoliti con l’erezione della cinta muraria cinquecentesca (poi demolita a sua volta quando fu costruita la stazione ferroviaria a metà ‘800). Villa Lomellini si trovava invece più a nord, a Granarolo, zona collinare equiparabile ad Albaro per il levante; realizzata anch’essa nel Cinquecento su modelli alessiani, divenne proprietà del Comune a fine Ottocento e fu destinata a edificio scolastico; villa Cambiaso, fatta costruire dai Colonna nella parte sommitale di salita Granarolo e poi passata alla famiglia da cui prende nome, godeva della migliore posizione possibile con un’apertura eccezionale sul panorama marino. Oltre che luogo d’elezione per la villeggiatura aristocratica, Granarolo era anche e prima di tutto antico borgo contadino lungo la via che portava in Val Polcevera. Trovandosi in posizione particolarmente elevata si è in parte salvato dall’edilizia speculativa del dopoguerra, conservando un po’ dell’aspetto antico[5].

Il sestiere ospita inoltre il complesso monumentale – originariamente esteso dal mare fino alla sommità della collina di Granarolo – di Palazzo del Principe, che è l’edificio cinquecentesco più importante della città, su imitazione del quale vennero poi edificate tutte le residenze cittadine e non delle famiglie nobili genovesi: sorto a inizio XVI secolo poco distante dalla porta di S.Tomaso, in un contesto naturale di eccezionale bellezza, fu voluto da Andrea Doria che lo elesse a sua stabile dimora, scegliendolo come abitazione permanente e non come semplice residenza di villeggiatura. Costruita nel periodo più florido della storia genovese dal personaggio più potente della Repubblica e protagonista della politica europea, la villa era concepita a tutti gli effetti come simbolo tangibile della grandezza e della magnificenza del suo signore, che chiamò i migliori artisti dell’epoca per arredarne e decorarne gli interni; lo stesso fece il suo erede Gio.Andrea che ampliò il palazzo con nuovi corpi di  fabbrica, e gli artisti migliori si avvicendarono nella villa nei secoli successivi[6]. Per comprendere la sontuosità del luogo basti sapere che qui Andrea Doria ospitò diverse volte l’imperatore Carlo V, del cui passaggio sono testimoni tra l’altro due enormi arazzi da lui donati all’ammiraglio. La villa ospitò molti altri personaggi illustri, tra cui, in tempi più recenti, Napoleone e Giuseppe Verdi, che vi soggiornò per lunghi periodi dell’anno dal 1874 fino alla morte (1901). Intorno all’edificio vero e proprio, un vasto giardino che si estendeva davanti verso il mare e dietro sulla collina di Granarolo, sfruttandone la pendenza con una serie di terrazze di grande effetto scenico che arrivavano quasi sulla cima del colle. Il complesso subì molte menomazioni a partire da metà ‘800, prima con la costruzione della ferrovia, poi con la realizzazione di via Adua e della stazione marittima che ne interruppe per sempre il rapporto diretto col mare, così come l’urbanizzazione della collina retrostante, insieme alla realizzazione dell’Hotel Miramare, distrusse il secolare giardino; l’edificio subì inoltre gravi danneggiamenti durante i bombardamenti della Seconda Guerra. Operatone il pieno recupero, il palazzo è stato aperto al pubblico negli anni novanta e si configura tutt’oggi come un museo-dimora, è cioè ancora abitato occasionalmente dalla famiglia Doria Pamphilj che ha mantenuto alcune stanze ad uso esclusivamente privato.

Merita di essere ricordata anche Villa Giuseppina, così chiamata poiché ospitò Giuseppe Mazzini nel 1871, quando si recava segretamente a Genova, ricercato dalla polizia, per stringere alleanze; dopo la sua morte la villa diventò sede dei mazziniani fino al primo decennio del ‘900 quando fu acquistata dal Comune che vi allestì il Museo Mazziniano poi trasferito nella casa natale del patriota (in via Lomellini, nel sestiere della Maddalena).

Con le mura seicentesche e la creazione del nuovo sestiere si vennero a creare tre nuovi accessi alla città: le porte di Granarolo, degli Angeli e della Lanterna, che entrò finalmente a far parte del sistema difensivo urbano cessando di essere avamposto fortificato isolato[7]. Del tracciato murario collinare, lungo cui si stagliavano i forti Sperone a nord, Begato a ovest, Castellaccio a est, si è già detto precedentemente: oltre ad esso venne realizzata inoltre una cinta costiera che dal Faro correva lungo il bacino portuale fino a Carignano, proteggendo da possibili attacchi dal mare. La zona non fu successivamente interessata da particolari interventi fino all’Ottocento, quando cominciarono le inesorabili trasformazioni che l’avrebbero mutata per sempre, cancellandone le caratteristiche di luogo di pesca, coltivazione e villeggiatura, e facendola diventare parte integrante della realtà cittadina moderna.

Nel primo decennio dell’Ottocento fu aperta via Milano, fino al 1880 chiamata Strada della Lanterna, che sostituì la stretta via di Fassolo, insufficiente a sostenere la crescente mole di traffico; la nuova via era corredata dalle cosiddette Terrazze, una lunga ed elegante passeggiata molto frequentata, eseguita nel 1836 su progetto dell’architetto Gardella e successivamente demolita negli anni trenta del ‘900 per guadagnare spazio alla viabilità[8].

Nel 1849 il generale Lamarmora soffocò la rivolta genovese contro lo Stato Sabaudo bombardando la città dal Promontorio: trovando tale sito ideale da un punto di vista strategico, ordinò la costruzione di due grandi caserme[9], dette appunto di S.Benigno, che vi rimasero fino allo sbancamento della collina nel secolo successivo. Prima di esse, e demolita per far loro posto, vi era la gotica Abbazia di S.Benigno, eretta dai monaci Cistercensi nel XII secolo e considerata fin dagli albori una delle più importanti della penisola: ricca di opere d’arte e abbellita tramite le donazioni delle famiglie nobili, decaduta nel ‘400 e rifiorita nel secolo seguente grazie all’arrivo dei Benedettini che nutrirono la biblioteca di preziosi scritti letterari e scientifici facendone un polo culturale di primo piano, l’Abbazia fu soppressa nel 1797 per ordine napoleonico, il suo campanile riattato a torre per il telegrafo e i suoi spazi adibiti a magazzino per l’artiglieria, prima di essere distrutta dal Lamarmora, al quale non si perdonò d’aver gettato in mare le spoglie tumulate nella chiesa, comprese quelle di alcuni Dogi della Repubblica.

Verso la metà del secolo si concluse la linea ferroviaria Genova-Torino, forse uno degli interventi più invasivi poiché il tracciato tagliò a metà il borgo di Fassolo con pesanti ripercussioni sull’abitato (a partire dalla stessa Villa del Principe che perse il contatto col giardino nord); per costruirla si demolì tra l’altro l’antica chiesa di S.Lazzaro, risalente al 1150, con l’ospitale di pertinenza e il lazzaretto per il ricovero dei lebbrosi. Nel 1870 furono realizzati i Magazzini Generali, voluti dal sindaco Andrea Podestà come infrastruttura portuale e poi adibiti a scalo merci ferroviario. Nel 1881 venne realizzata la galleria ferroviaria per treni merci che passava sotto via Milano collegando lo scalo di S.Limbania con Sampierdarena.

Negli anni settanta dell’Ottocento furono inoltre realizzate, per iniziativa del marchese Raffaele De Ferrari[10], le abitazioni popolari dell’Opera Pia De Ferrari Galliera, collocate in via Venezia (altre furono costruite in altre zone della città) e destinate ad ospitare famiglie indigenti. Per quanto l’impianto di tali abitazioni – esistenti ancora oggi e individuabili tra i civici 40 e 50 – fosse semplice e privo di decorazioni, nel progettarle[11] fu sempre tenuto presente quel principio di dignità dell’abitare che poi venne meno durante la seconda ondata edilizia, quella degli anni cinquanta del ‘900. A inizio Novecento inoltre funzionava, in piazza Sopranis, poco sopra piazza Di Negro, una fabbrica del ghiaccio che riforniva principalmente le navi in porto. Venne dismessa nel secondo dopoguerra con l’avvento dei frigoriferi.

Tra le due guerre il governo fascista provvide a notevoli interventi nella zona di S.Teodoro: favorì lo sviluppo edilizio lungo le vie Venezia e Bologna (anticamente, quando l’abitato si limitava al litorale di Fassolo, queste erano zone malsicure frequentate da briganti) e una serie di grandi opere sicuramente necessarie allo sviluppo della città ma anche molto utili al ritorno d’immagine del regime; tra di esse sono al primo posto le immani opere stradali: nel 1920 si procedette allo sbancamento totale del colle di S.Benigno o Promontorio di Capo di Faro[12], annullando la naturale separazione tra Genova e Sampierdarena e destinando lo spazio così ottenuto al porto e a snodi viari come l’elicoidale da cui si dipartiva la “strada camionale” inaugurata nel 1935, che portava da Sampierdarena a Serravalle (attuale autostrada A7), infrastruttura indispensabile per il traffico legato alle attività portuali; venne aperta via di Francia, che collegava via Milano al ponente, e nel ’33 via Adua, che immetteva la stessa via Milano in via Carlo Alberto (oggi Gramsci).

Nel ’30 venne inaugurata la Stazione Marittima di Ponte dei Mille, da cui partirono i più grandi transatlantici dell’epoca, per la gran parte usciti dai cantieri navali di Sestri Ponente, che caricavano migliaia di emigranti alla volta delle Americhe; nel ’32 quella di Ponte Andrea Doria. Molte delle opere compiute durante questo periodo subirono gravi danni nel corso del secondo conflitto, in particolar modo il porto, in quanto obiettivo sensibile, ne uscì completamente distrutto e inservibile (miracolosamente rimase illesa la Lanterna, nonostante Genova fosse stata la città più bombardata d’Italia dal giorno seguente l’entrata in guerra, nel 1940, fino al termine delle ostilità). Nel 1944 il Promontorio, o meglio quanto ne restava dopo lo sbancamento, fu teatro di un’immane tragedia: le gallerie ferroviarie che vi passavano sotto, utilizzate contemporaneamente come depositi per le munizioni e come rifugio antiaereo, crollarono a causa di un’esplosione, facendo più di un migliaio di morti.

Nel secondo dopoguerra S.Teodoro conobbe trasformazioni altrettanto radicali: si diede il via alla ricostruzione che rimise in funzione il porto ampliandone le strutture, e si procedette alla realizzazione di una nuova importante opera stradale inaugurata nel 1965, la Sopraelevata, così chiamata per via della sua caratteristica principale, la sopraelevazione rispetto al normale piano stradale; strada a scorrimento veloce pensata per ovviare all’insufficienza del tracciato viario ordinario rispetto alle quantità di traffico moderne, tanto utile quanto contestata poiché ha alterato profondamente l’aspetto del fronte mare cittadino, unisce Sampierdarena direttamente con il quartiere della Foce.

A partire dagli anni cinquanta prese il via, attraverso il piano INA-Casa[13], un’intensa urbanizzazione delle colline fino ad allora quasi spopolate di Lagaccio, Oregina, Granarolo (il “casermone” di Mura degli Angeli fu realizzato proprio nell’ambito del progetto INA-Casa dall’architetto Luigi Carlo Daneri, autore anche degli edifici popolari di Quezzi e di Bernabò Brea), che si trasformò ben presto in una speculazione edilizia senza freni, con grave pregiudizio alla qualità della vita degli abitanti di questi nuovi quartieri-dormitorio ad altissima densità abitativa, non supportati da un’adeguata viabilità e privi di spazi di aggregazione sociale. Nel 1968 una delle zone interessate da tale espansione, via Digione, fu luogo di un terribile incidente: uno dei piloni di uno dei tanti muraglioni di contenimento eretti per costruire in collina cedette, facendo franare la parete rocciosa sui caseggiati sottostanti e provocando la morte di 19 persone.

Tra le realizzazioni più recenti in zona S.Teodoro vi sono il Terminal Traghetti e il grattacielo detto Matitone, entrambi costruiti negli anni novanta; il secondo, che ospita gli uffici amministrativi del Comune di Genova, prende nome dalla sua peculiare forma a matita ed è l’edificio più alto della città (109 metri).

Per quanto riguarda gli edifici religiosi vale la pena infine menzionare, oltre a quelle già citate, alcune altre chiese del sestiere. La chiesa di S.Francesco da Paola, eretta a fine ‘400 sul boscoso colle del Caldeto (dietro Fassolo), è intitolata al santo protettore dei naviganti che, passando da Genova nel suo viaggio per andare a curare re Luigi XII, fu ospite di Andrea Doria. Fu elevata a basilica nel 1930 da papa Pio XI. La chiesa di S.Benedetto al Porto, adiacente Palazzo del Principe, è molto più antica, essendo stata fondata nel 1129: caduta in rovina, fu recuperata dai Doria che ne finanziarono la ricostruzione, facendola diventare propria chiesa gentilizia. Il convento ad essa annesso fu demolito con gli interventi viari d’epoca moderna, e la chiesa subì gravi danni a causa dei bombardamenti del 1944. Successivamente restaurata, dagli anni settanta ospita nella canonica la Comunità di S.Benedetto al Porto, fondata da Don Andrea Gallo e specializzata nell’accoglienza di persone disagiate, soprattutto tossicodipendenti.

Nel quartiere esistono anche due chiese di architettura contemporanea: la chiesa di S.Marcellino e dell’Addolorata, costruita nel 1936 su progetto dell’architetto Daneri, e la chiesa di S.Maria della Vittoria (progetto degli architetti Fera e Grossi Bianchi), fortemente voluta dal cardinale Siri per il nuovo quartiere residenziale di Mura degli Angeli e inaugurata nel 1965.

Claudia Baghino 


[1] La zona del Lagaccio prende nome dal lago artificiale che ivi si trovava, la cui origine risaliva al Cinquecento, quando Andrea Doria lo fece costruire come serbatoio d’acqua alimentato dalle acque piovane e dei rivi del monte, e che alimentava a sua volta la Fontana del Nettuno, nel giardino del suo palazzo di Fassolo. Oltre ad essa, il lago alimentava un lavatoio a uso pubblico anch’esso fatto realizzare dal Doria.

[2] Quando la chiesa rispetta tale posizionamento si dice che è orientata: è rivolta cioè a oriente, dove nasce il sole, simbolo di resurrezione. Il coro diretto a est fa sì che la preghiera avvenga in questa direzione.

[3] Il toponimo Fassolo, anticamente Fascolus, Fasciolo, viene spiegato col significato di “regione piana” o “luogo riparato”.

[4] La zona, scelta da molte famiglie nobili per le loro dimore estive per via della sua grande bellezza, fu soprannominata “Paradiso”.

[5] Il paese è collegato a Principe da una linea ferroviaria a cremagliera realizzata a cavallo tra XIX e XX secolo che, sebbene sia stata di recente interamente ristrutturata (e riaperta al pubblico nel novembre 2012), ha conservato le caratteristiche carrozze originali, pur adeguatamente restaurate.

[6] Perin del Vaga (allievo di Raffaello) giunse a Genova chiamato da Andrea per sovrintendere alla realizzazione dell’intero ciclo decorativo ad affresco nel periodo 1528-1533 e fu il primo di una serie di eccellenti artisti impegnati ad abbellire la residenza: Montorsoli (allievo di Michelangelo) Taddeo Carlone, Marcello Sparzo, Filippo Parodi, Bronzino, Domenico Piola sono i nomi più celebri.

[7] Per la storia e le vicende riguardanti la Lanterna, compresa l’erezione e la distruzione della cosiddetta “Briglia” durante la dominazione francese cinquecentesca, si rimanda al testo specifico.

[8] La pavimentazione delle Terrazze, diecimila mq di pregiate “piastrelle di Luserna”, fu asportata e riutilizzata in piazza della Vittoria.

[9] Realizzate su progetto dell’architetto Domenico Chiodo, generale del Genio militare.

[10] Il marchese (1803-1876), imprenditore, uomo politico, mecenate, negli ultimi anni della sua vita svolse un’importante attività di benefattore nella sua città, e fu autore di una donazione strabiliante che permise l’aggiornamento delle infrastrutture del porto; la moglie era la Duchessa di Galliera, fondatrice dell’ospedale cittadino che ancora oggi porta il suo nome. A lui invece è dedicata la principale piazza genovese.

[11] Autore del progetto Cesare Parodi.

[12] Se ne possono vedere alcuni resti nei pressi dell’elicoidale, a breve distanza dalla Lanterna.

[13] Il piano INA Casa, durato dal 1949 al 1963, fu elaborato dallo Stato appositamente per la ricostruzione postbellica e prevedeva la realizzazione di alloggi popolari su tutto il territorio nazionale tramite l’utilizzo di fondi gestiti dall’Istituto Nazionale Assicurazioni.

Cosa vedere a Genova

Musei di Genova

Museo di Sant'Agostino di Genova

Percorsi e Video guide

Genova Quinto, veduta dal civico 3 di via Gianelli

Palazzi dei Rolli

error: Content is protected !!