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Foce e Borgo Pila, l’antico comune e il ponte sul Bisagno

Storia della Foce, antico comune annesso nell'Ottocento alla città di Genova insieme al borgo Pila, centro abitato a ridosso dell'ormai scomparso ponte di Santa Zita

Il primo insediamento della bassa Val Bisagno che si incontra partendo dalla linea di costa è la Foce: esso nasce come piccolo agglomerato di case di pescatori riunite sotto la chiesa di S.Pietro (oggi ancora presente, scomparso invece l’antico monastero omonimo seicentesco), sviluppandosi, nel tempo, addossato alla collina di Albaro. Solo nel 1818 tale borgo assume lo status amministrativo di comune autonomo, andando a costituire uno dei più piccoli comuni liguri, con un’estensione che va da Punta Vagno (sulla costa) alla sponda ovest del Bisagno in larghezza, e per poche centinaia di metri verso l’interno; a est i confini del comune coincidono con la cresta collinare su cui oggi si trova Via Trento. Prima di allora, la Foce non è considerata come entità indipendente, ma come parte della più ampia e generica piana del Bisagno.

Per quanto il toponimo venga spesso fatto derivare da “foce” intesa come sbocco del torrente, alcuni studiosi ne individuano la radice in “Focea”, luogo d’origine delle prime popolazioni che si stabiliscono nella piana[1]. La vita di questo piccolo borgo di pescatori è sempre stata abbastanza autonoma e uguale a se stessa nei secoli, smossa solo dai grandi eventi bellici, dalle calamità naturali, dalle epidemie o da un evento tristemente frequente che colpisce specialmente i pescatori e i marinai: l’essere fatti prigionieri dai pirati barbareschi o dai corsari, finendo nel commercio degli schiavi.

L’ingerenza della città nel placido ripetersi dei ritmi quotidiani, stagione dopo stagione, è semplicemente mal sopportata: gabelle, lazzaretto, fossa comune, cantieri navali, sono tutte imposizioni dall’alto (lo stesso si può dire per il confinante Borgo Pila).

Qui il tempo resta immobile sostanzialmente fino all’Ottocento. Oltre alla pesca, il borgo (8-10 case in origine, stando al Giustiniani) è attraversato da forestieri e persone di passaggio dirette verso la città: per questo si registra la presenza di osterie e locande dove, secondo i documenti dei processi, le risse sono all’ordine del giorno. Con il piano d’ampliamento urbano steso dal Barabino (vai al documentario sulla rivoluzione urbanistica dell’Ottocento realizzato in collaborazione con la Fondazione Ansaldo) e con l’annessione a Genova nel 1874 si dà il via a una serie di interventi che prosegue ininterrotta fino agli anni ’30 del Novecento: reticoli ortogonali (Corso Torino, Via Casaregis e relative parallele), urbanizzazione, costruzione della Stazione Brignole, abbattimento delle Fronti Basse e apertura di Corso Buenos Aires (già Via Minerva) che compie l’ultimo tratto con cui il rettifilo che parte da De Ferrari giunge fino a Piazza Tommaseo, copertura del Bisagno (1929) sconvolgono per sempre l’assetto originario di queste zone.

Per quanto riguarda Corso Buenos Aires (il cui nome ricorda la capitale argentina meta di tanti emigranti genovesi), apertura e adeguamento al livello stradale di Via XX Settembre avvengono in due fasi successive: la seconda operazione è di portata tale che le botteghe dei palazzi della via vengono trasformate in appartamenti poiché finiscono col trovarsi al primo piano, mentre le cantine e i fondi, prima sotterranei, diventano piani terra in cui i negozi si trasferiscono.

Con la copertura del Bisagno, che ingloba Ponte Pila, si procede anche alla realizzazione di Piazza della Vittoria, ideata dall’architetto Piacentini in linea con il retorico e autocelebrativo stile del regime, come dimostrano gli edifici e l’Arco di Trionfo (tipologia architettonica mutuata dall’antichità classica) dedicato ai caduti nella Prima Guerra. Il vasto spazio della piana continua ad essere utilizzato per gli eventi di grande respiro esattamente come è sempre avvenuto prima degli interventi suddetti: qui si tengono grandi esposizioni[2], spettacoli, addirittura incontri calcistici dilettantistici che si svolgono sulla terra battuta di Piazza Verdi, davanti alla Stazione Brignole[3].

Tra gli edifici scomparsi della Foce c’è l’Oratorio delle Anime vicino al cimitero dei poveri, coperto insieme ad esso da un alone di leggende popolari che raccontavano di processioni di spettri di notte, strane luci, apparizioni. Con la chiusura del cimitero a favore del nuovo sito di Staglieno anche l’oratorio perde progressivamente importanza fino ad essere dismesso e demolito a fine Ottocento. Non distante da Porta Pila si trovava il cosiddetto Conservatorio delle Figlie di S.Maria del Rifugio, fondato nel Seicento dalla nobildonna Virginia Centurione Bracelli per dare un luogo in cui vivere alle fanciulle povere senza dimora: anch’esso non esiste più.

Menzione a parte merita il particolare caso della chiesa di Nostra Signora del Rimedio: originariamente eretta in Via Giulia nel 1673, viene letteralmente smontata nel 1898 nell’ambito dell’attuazione del piano urbanistico e riedificata pietra su pietra, con lo stesso disegno e i medesimi materiali, in Piazza Alimonda tra il 1900 e il 1904. Un altro edificio religioso che trova “rifugio” alla Foce è S.Maria dei Servi, trasferitasi negli anni ’70 con la distruzione di Via Madre di Dio.

Alla Foce si trova inoltre il polo fieristico della città, realizzato su riempimenti a mare, a partire dagli anni ’50, dopo lo sbancamento delle scogliere della Cava e della Strega: dove oggi si trovano il Palasport e Piazzale Kennedy, preceduti da Corso Marconi che immette nella passeggiata di Corso Italia (arteria di primaria importanza aperta tra il 1908 e il 1915), erano un tempo il lazzaretto e i cantieri navali. La vocazione fieristica della zona liberata con lo smantellamento dei cantieri viene messa in luce già negli anni trenta, quando l’area ospita un “villaggio balneare” e un’esposizione che sono parte integrante del Giugno Genovese, manifestazione di grande successo finalizzata alla promozione turistica della Liguria. La Foce inoltre ha sempre ospitato, il 29 di giugno, la celebre Fiera di S.Pietro, la quale anticamente dava il via alla stagione balneare. Sempre negli anni ’50 viene portato a termine il progetto degli edifici residenziali di architettura razionalista steso per Piazza Rossetti da Luigi Carlo Daneri (allievo genovese di Marcello Piacentini, che per Genova aveva progettato il grattacielo di Piazza Dante), iniziato negli anni ’30 e interrotto con la guerra. Poco distante Punta Vagno, dove oggi sono i giardini intitolati a Gilberto Govi, ospitava un tempo una batteria costiera.

Oggi i confini del quartiere sono a ovest le Mura delle Cappuccine, Via Brigata Liguria, Via Fiume; a est Via Pisacane e Via Nizza; a nord la stazione Brignole e Via Tolemaide, e a sud, naturalmente, il mare.

BORGO PILA

Borgo Pila, pur essendo anticamente collegato alla Foce da una creüza in mezzo agli orti, non ne fa già più parte, essendo all’epoca parte del comune di Albaro. Il suo nome deriva da quello della porta collocata al centro delle Fronti Basse, cioè Porta Pila, ingresso orientale della città, che dà sulla spianata del Bisagno e la distesa di orti. In moltissimi acquerelli e stampe di varie epoche è testimoniata una delle attività principali di questo tratto della Val Bisagno, quella delle lavandaie, che si concentrano specialmente nei pressi del Ponte Pila. Il loro è per secoli un vero e proprio mestiere: si recano in città a prelevare i panni dei clienti e scendono sul greto del torrente per il lavaggio o il risciacquo dei tessuti lavati a caldo. Sia nel torrente sia nei lavatoi pubblici i panni finiscono per essere ampiamente mischiati così come le acque di lavaggio e risciacquo: questo fa sì che, soprattutto nei periodi di malattia ed epidemie, chi fa questo lavoro – perennemente a contatto con sporcizia e batteri – sia particolarmente esposto al contagio, al punto che il colera viene considerato malattia professionale delle lavandaie, nonostante i provvedimenti dell’amministrazione per la disinfezione di lavatoi e torrente tramite cloro e calce[4].

Il Bisagno irrompe prepotentemente e regolarmente nella vita del borgo attraverso i tempi, con inondazioni che talvolta radono al suolo interi edifici come la chiesa di S.Zita, fondata nel ‘200 dalla comunità di mercanti lucchesi, distrutta da una piena e ricostruita a metà ‘400 (è stata completamente riedificata nel ‘900 e completata nel ’70 con la prima cupola al mondo realizzata in cemento armato). Più volte il ponte di S.Zita (poi Ponte Pila, dal nome della porta poco distante) crolla e gli orti vengono allagati, ma questo non distoglie gli abitanti dal continuare a ostruire il greto del torrente con botteghe e baracche e a utilizzarlo come terreno coltivabile. Le iconografie mostrano a partire dal 1780 un ponte provvisorio in legno, a sostituzione di quello originale spazzato via dall’ennesima piena. Dopo la devastante alluvione del 1822 la decisione di ricostruirlo con un’armatura in ferro, fino alla definitiva demolizione in concomitanza con la copertura del torrente. Il ponte costituisce per secoli un punto di riferimento della zona, con la sua piccola cappella votiva su una delle sponde e la caratteristica edicola a metà della campata centrale, che compaiono in tutte le immagini coeve.

Il borgo rientra direttamente nelle trasformazioni del piano urbanistico di Barabino del 1825, poiché è tangente ad un’importante direttrice viaria ancora da realizzarsi ma già presente nei progetti: quella che da Piazza De Ferrari scende fino a Porta degli Archi, prosegue fino a Porta Pila, attraversa la piana e si immette in quello che sarà Corso Buenos Aires. Oggi di Borgo Pila e di Corte Lambruschini, antico edificio provvisto di corte un tempo ergentesi nel borgo, rimangono solo i nomi, visto che qui sorgono diversi grattacieli. Al gruppo di edifici moderni (che ospitano tra l’altro la sede del Teatro Stabile della città) è stato dato il nome della Corte, mentre il nome del borgo è stato dato alla piazzetta antistante gli edifici stessi.

Claudia Baghino 


[1] L’antico nome di Via Fogliensi, che sale alla Chiesa di S.Pietro e Bernardo, è Fuxensi, in genovese, che significa proprio Focesi.

[2] Come la colossale Esposizione Internazionale del 1914, per la quale vengono allestiti eccezionali apparati effimeri e realizzata la Telfer, prima monorotaia europea, smantellata alla fine dell’evento. Congiunge il Molo Giano con la zona espositiva, passando lungo l’attuale Corso Aurelio Saffi, superando quelli che all’epoca sono i Bagni Strega alla Foce e virando poi verso la zona dell’odierna Piazza della Vittoria.

[3] Nel 1906 la zona ospita la grande arena dello spettacolo itinerante “Selvaggio West”, oltre mille uomini, tra indiani e cowboys, capitanati dal celeberrimo Buffalo Bill, che durante il suo tour in Europa, dopo essere stato in Inghilterra e in Francia, fa tappa a Genova. Con loro anche il leggendario Toro Seduto, capo Sioux.

[4] È inoltre dall’uso delle lavandaie di cantare durante il lavoro unito al fatto che lavorassero lungo il Bisagno, che deriva il modo di dire genovese, nato dopo la costruzione del cimitero di Staglieno, “andare a sentire cantare le lavandaie” per indicare la morte di qualcuno.

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