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Genova, la Città Vecchia: il sestiere del Molo

La storia del Sestiere del Molo, cuore del Centro Storico di Genova. Approfondimento e filmato storico
(La Città Vecchia: “Un Quartiere Genovese“, documentario del 1948)

Il sestiere del Molo confina col sestiere della Maddalena a nord, col sestiere di Portoria a est e – come si può facilmente dedurre dal nome – col mare, sul quale si affaccia a sud e a ovest. Esso costituisce una delle parti più antiche del centro storico genovese: comprende infatti la collina di Castello, dove i primi insediamenti umani risalgono al V secolo a.C., e la zona del Molo Vecchio, struttura originaria da cui ha avuto origine il porto antico (più anticamente invece il primissimo approdo si ritiene dovesse trovarsi in Ponticello, dove il rio Torbido si gettava in mare creando un’insenatura naturale identificata col nome di Seno di Giano). In questa zona, dove il sestiere si affaccia direttamente sul mare, fin dall’antichità le piazze e i vicoli brulicano di attività commerciali indissolubilmente legate alla vita del porto (vai al documentario “La storia del porto di Genova” realizzato in collaborazione con la Fondazione Ansaldo).

Che la città avesse vocazione marinara è dimostrato dal fatto che il primo molo in zona Mandraccio venne fatto costruire in epoca romana da Lucrezio Spurio, come testimoniato da Tito Livio; su di esso troneggiava una statua di divinità protettrice dei naviganti, probabilmente Diana Efesia. Nelle vicinanze della Casa di Agrippa (zona di Piazza Cavour) dovevano trovarsi allora un tempio sotterraneo e un tempio intitolato alle Tre Grazie, divinità sacre al commercio (e qui già si dimostra la vocazione mercantile della città).

Il Mandraccio, cuore pulsante del porto antico, consisteva in un’ansa protetta dove per secoli si svolsero tutte le attività portuali: qui le imbarcazioni attraccavano per le operazioni di carico e scarico, qui si trovavano l’arsenale per la riparazione e il carenaggio e la darsena per il rimessaggio della flotta di galee. Qui si trovava inoltre il Palazzo, ormai scomparso, dei Conservatori del Porto e del Molo, importantissime figure istituzionali incaricate, come dice il nome stesso, di sovrintendere alla buona salute di tutto il sitema portuale, essenziale alla vita di Genova. Oggetto di continui adeguamenti, ingrandimenti e miglioramenti nel corso dei secoli, venne definitivamente interrato nel 1898 con 40.000 metri cubi di materiale di scavo proveniente dai lavori per la sistemazione di Via XX Settembre (già Via Giulia). Sul nome, attestato già all’epoca dell’imperatore Giustiniano (VI sec. d.C.), esistono interpretazioni varie: alcuni ritengono che sia da attribuire all’affollamento della miriade di imbarcazioni presso i moli ivi costruiti, tanto da sembrare una mandria; altri fanno risalire il termine ai cartaginesi e agli arabi, da cui i genovesi l’avrebbero mutuato, per indicare un braccio di mare riparato, “mare braccio” appunto. Gli agglomerati di case si allungavano fino alla struttura che dà nome al sestiere, il Molo Vecchio, per la manutenzione del quale i Consoli del Comune avevano stabilito una tassa sulle navi in entrata già a partire dal 1134. Anticamente sul molo erano presenti, disposti a pettine, sei moli (inizialmente in legno, poi, a partire dal ‘400, ricostruiti in pietra) che prendevano nome dal tipo di merce che vi si scaricava oppure dalle famiglie che avevano residenza nelle adiacenze (Embriaci, Cattaneo, Spinola).

Dotato di un faro minore che insieme alla Lanterna segnalava l’ingresso in porto, venne anch’esso ingrandito a più riprese[1] – seguendo la crescente stazza delle navi – fino a metà Cinquecento, quando fu posta a suo coronamento l’imponente Porta Siberia progettata dall’Alessi e collegata alle mura che proteggevano la ripa. A quei tempi la materia prima per gli interventi portuali veniva estratta da una zona adibita a cava nei pressi della Foce-Circonvallazione a Mare, tanto che fino al Novecento ne rimase il ricordo nel toponimo del luogo, chiamato appunto la Cava.

LA CITTÀ VECCHIA: IL MOLO

Se Molo e Mandraccio così com’erano nell’antichità non esistono più (tutta la zona è stata interessata dal restyling che ha dato vita all’area Expò-Porto Antico, che ha restituito ai genovesi l’accesso e la fruizione di una parte tanto importante per la storia della città), esiste ancora la parte di centro storico che estendeva una sua propaggine sul mare: è la zona di Via del Molo, con la Chiesa di S.Marco, gli edifici alti e stretti addossati l’uno all’altro, chiusi ancora da un superstite tratto di mura che culmina proprio in Porta Siberia, affacciata sul mare. In questa zona, dove ogni via rimanda a un mestiere, si trovavano i magazzini di granaglie (importantissime scorte cui si attingeva in caso di carestia) poi sostituiti dai grandi silos realizzati in epoca moderna tra Ponte Parodi e Ponte dei Mille.

Rimanendo nell’area di Piazza Cavour si può vedere come essa, lambita dalle acque e adiacente il porto, risulti centro di attività mercantili lungo le epoche: precisamente in Piazza delle Grazie, secondo i documenti, si teneva in epoca medievale il mercato delle erbe. Dietro di essa si estendeva la cosiddetta “Contrada Serpe”, nominata in questo modo da documenti duecenteschi; ne facevano parte Via delle Grazie, vicino alla quale si trova la Chiesa dei SS.Cosma e Damiano (databile al X secolo) e qui risultavano aver casa le famiglie Castello, Mallone, Della Chiesa, Zaccaria. Trovandosi così vicino al mare la Contrada fu uno dei punti più colpiti dal bombardamento francese del 1684. Appena dietro la suddetta chiesa è Vico dietro il Coro di S.Cosimo: qui abitava, negli anni venti dell’Ottocento, la famiglia del patriota Jacopo Ruffini. Sempre in zona Cavour, lato Molo Vecchio, erano le prigioni della Malapaga, erette negli anni sessanta del Duecento, dove venivano rinchiusi i colpevoli di fallimento e i debitori insolventi; tale carcere viene ricordato in particolare per un episodio occorso in occasione della rivolta contro gli Austriaci del 1746. Un gruppo di cittadini provvide infatti ad aprire le porte della prigione liberando tutti i detenuti perché potessero unirsi alla sommossa e combattere (tra di essi anche il patrizio Cristoforo Spinola, fatto imprigionare dai creditori).

Il collegamento di questo tratto del tessuto urbano con le lucrose attività del porto è ricordato anche dai nomi dei vicoli: calzante è l’esempio di Vico dell’Olio (oggi Via Turati), che anticamente costeggiava i depositi del Porto Franco e il Mandraccio, collegandosi infine a Via del Molo, e traeva la denominazione dai depositi di olio, appunto, che si trovavano in loco (e quanto fosse importante il commercio dell’olio è dimostrato dall’esistenza di un magistrato apposito che sovrintendeva a tutte le relative operazioni e si assicurava che ci fossero sempre sufficienti forniture d’olio per la città e per il funzionamento della Lanterna). Le fonti descrivono il vicolo come un susseguirsi di botteghe buie e sporche, osterie, magazzini di vele e catrame: le stesse di Sottoripa fondamentalmente, essendo il caruggio naturale prosecuzione di quest’ultima. Fino al 1863 si trovava, a metà di esso, la vetustissima Fontana del Bordigotto: secondo le parole dell’annalista Jacopo da Varagine, la fontana gettò sangue poco prima dell’incursione saracena del 935, anticipando il tragico avvenimento. In virtù di questo miracolo venne consacrata, ma ciò non la salvò successivamente dall’incuria cui fu abbandonata dopo che si fu prosciugata e la sua utilità venne meno, tanto che nell’Ottocento si trovava ormai in una condizione di totale abbandono, ricettacolo di immondizia e sporcizia. La sua ingloriosa fine giunse in concomitanza con gli interventi edilizi ottocenteschi, quando venne interamente demolita.

Vale la pena sottolineare l’utilità che rivestivano in passato le fontane: la loro presenza – magari al centro di una piazza o in uno slargo – forniva un punto d’incontro e raccolta agli abitanti delle vie circostanti, ma la fontana era importante soprattutto poiché costituiva una preziosa presa d’acqua, indispensabile per tutte le attività umane, e in quanto tale luogo di continuo andirivieni di persone che se ne servivano per bere, preparare il cibo, lavare e lavarsi, lavorare, in un tempo in cui l’acqua corrente in casa era ben di là da venire.

Tra la zona prettamente portuale e la città vi erano, cesura e unione a un tempo, i portici di Sottoripa (rimandiamo al testo sul sestiere della Maddalena), così chiamata perché in origine si trovava a pochi metri dal mare, dalla ripa, cioè la riva, quando l’acqua lambiva tutta l’area, poi interrata, che oggi è Caricamento. Sottoripa venne edificata a partire dal 1133, secondo misure dettate dai Consoli, e aveva bassi argini che la difendevano dalle onde. Qui si concentravano le botteghe artigiane, i banchi di vendita al dettaglio, e tutte le attività strettamente connesse al porto. La piazza di Caricamento arrivò solo molti secoli dopo, quando l’area antistante i portici divenne stazione terminale (e punto di carico e scarico merci) del prolungamento ferroviario della Torino-Genova (1854), prolungamento realizzato appositamente per il traffico portuale. A est della piazza si trova il celebre Palazzo S.Giorgio, edificato nella sua parte medievale dall’architetto Frate Oliviero nel 1260 per volere di Guglielmo Boccanegra, Capitano del popolo, per dare una sede all’istituzione comunale. Inizialmente denominato Palazzo del Mare, diventò S.Giorgio quando qui si trasferì il Banco di S.Giorgio, istituzione finanziaria che gestiva debito pubblico ed entrate portuali (madre di tutti i moderni sistemi bancari).

LA CATTEDRALE DI SAN LORENZO E IL PALAZZO DUCALE

La principale direttrice che dalla città scende al porto è Via S.Lorenzo, che si diparte da Piazza Matteotti e termina nella piccola Piazza Raibetta: il toponimo deriva da un termine arabo il cui significato è indicato dagli studiosi sia come “mercato” sia come “deposito di biade” (entrambe spiegazioni plausibili vista la frequente presenza di mercati nelle piazze e la necessità di tenere nelle vicinanze del porto tutto il necessario al lavoro portuale, compresa quindi la biada per i cavalli, indispensabili animali da fatica). Il nome di Via S.Lorenzo è legato alla presenza dell’omonima cattedrale. Eretta a partire dal IX secolo a ridosso delle mura, venne consacrata nel 1118, ancora priva di facciata, e qui – zona più sicura perché protetta dalle mura – fu presto spostata la cattedralità dalla più antica Chiesa di S.Siro. La costruzione dell’edificio, come sempre avviene nella storia per opere così imponenti,  si protrasse per secoli e questo spiega ovviamente la giustapposizione di stili, ciascuno corrispondente a una diversa epoca. Anche in S.Lorenzo vennero riutilizzati numerosi frammenti d’epoca romana, e durante gli scavi ottocenteschi per l’apertura del troncone a mare furono riportati alla luce moltissimi resti archeologici, testimoni dell’antichità degli insediamenti umani in questi luoghi. La facciata del duomo non ha sempre avuto una scalinata così imponente: fu appunto in concomitanza con gli interventi urbanistici che quest’ultima subì un’aggiunta di sei gradini e della decorazione dei due grandi leoni laterali, per ovviare all’abbassamento del fondo stradale necessario per il completamento della via. Nell’adiacente Via Tommaso Reggio sono visibili ancora oggi resti (gli unici sopravvissuti) della cinta muraria del IX secolo, inglobati nei muri del chiostro.

Poco distante da Piazza S.Lorenzo è la più piccola Piazza Invrea, che ha subìto nel tempo un cambio di nome poiché originariamente era intitolata alla famiglia nobile degli Squarciafichi che qui dimorava (e infatti esistono ancora il palazzo e il vicolo omonimi). Era anch’essa punto brulicante di vita nei secoli addietro: qui si sistemavano infatti i venditori di quelle che volgarmente venivano chiamate “animette”, ossia piccoli bottoni d’osso o madreperla. Il luogo era così noto per questo che il suo nome tra la gente del popolo era proprio piazza delle animette. Da S.Lorenzo prende il via anche l’ampia – per l’epoca – Via di Scurreria, aperta a proprie spese da Gian Giacomo Imperiale nel ‘600 per collegare il suo fastoso palazzo in Campetto direttamente con l’importante piazza del duomo. Il fatto che un privato potesse sostenere le spese per un intervento di viabilità urbana è prova della ricchezza e della potenza della famiglia in questione: per realizzare la via fu necessario acquistare alcuni edifici che si trovavano sul tracciato, per poi semplicemente demolirli. Salendo ancora per S.Lorenzo si giunge infine all’attuale Piazza Matteotti, oggi subordinata alla retrostante Piazza De Ferrari ma un tempo di primaria importanza poiché qui era l’ingresso principale di Palazzo Ducale.

Edificato su preesistenze duecentesche di edifici appartenuti ai Doria e ai Fieschi, anch’esso porta in sé, esplicitandoli nella convivenza di stili diversi, secoli di storia. Fu definito la terza meraviglia di Genova dopo la Cattedrale e la Basilica di Carignano, e l’area primaria su cui venne realizzato fu acquistata dal Comune nel 1291. Il Doge, che qui aveva la sua residenza, non usciva dal palazzo per l’intera durata del suo mandato eccetto che per le ricorrenze solenni, in occasione delle quali compariva in pubblico: diversamente, riceveva a palazzo chi doveva conferire con lui. Di pertinenza del palazzo è la trecentesca Torre Grimaldina o Torre del popolo, usata per molto tempo come prigione (qui morì Jacopo Ruffini), che doveva far parte dell’originario palazzo Fieschi poi inglobato nella struttura del Ducale. Sulla piazza è anche la Chiesa del Gesù, edificata dai Gesuiti sul finire del Cinquecento su una preesistente chiesa di S.Ambrogio e Andrea, molto più antica, dove il vescovo di Milano aveva preso sede quando si era rifugiato a Genova dopo l’invasione della sua città da parte dei Longobardi nel 568. Nell’Ottocento, prima dell’avvento di automobili e autobus, Piazza Matteotti era capolinea di omnibus a cavalli (tra le linee di carrozze che partivano da Matteotti v’era la Genova-Rivarolo) e punto di passaggio dei tram: i primi attendevano i clienti ai lati della piazza, i secondi filavano sulle rotaie davanti a Palazzo Ducale per poi immettersi in Piazza De Ferrari, dov’era il capolinea. Attraversata per anni dal traffico pubblico e privato, la zona S.Lorenzo-Matteotti è stata di recente pedonalizzata, e tale soluzione, insieme al restauro di tutte le emergenze architettoniche che insistono sulla via, le ha restituito l’antico splendore rendendola a un tempo pienamente fruibile dalla cittadinanza.

PIAZZA BANCHI, SAN MATTEO

Prima dell’apertura di Via S.Lorenzo, dalla Ripa si saliva alla cattedrale passando per lo stretto Vico del Filo oppure per Piazza Banchi, antico cuore commerciale della città e sede di uno dei più importanti mercati cittadini, accanto alla Porta di S.Pietro che si apriva nella trama delle mura poi demolite, presso la quale i cittadini si riunivano per ascoltare la lettura dei bandi pubblici. Nel Cinquecento la piazza era anche luogo di ritrovo dei nobili, secondo una disposizione ben precisa: sotto i portici di S.Luca si radunava la vecchia nobiltà (d’origine feudale), sotto quelli di S.Pietro la nuova (d’origine mercantile). Nel 1864 Banchi fu gravemente danneggiata, a causa della sua posizione vicinissima al mare, dai potenti colpi di mortaio della flotta francese che attaccò Genova (ma si registrarono profonde ferite in tutto il tessuto urbano)[2]. Qui si trovano infine la Chiesa di S.Pietro in Banchi – edificio particolarissimo dal momento che si erge su un piano terra occupato su tutti i lati da botteghe – e la celebre Loggia della Mercanzia, realizzata a fine ‘500, luogo adibito agli scambi commerciali (in seguito sede della Borsa Merci Italiana fino a inizio ‘900, quando fu trasferita a De Ferrari).

L’edificazione della Loggia fa parte di una più ampia sistemazione della piazza che per i tempi si configurò come intervento di riqualificazione di primo piano, secondo soltanto a quello effettuato per Strada Nuova; esso portò ad un aspetto monumentale della piazza, direttamente rappresentativo del ruolo di centro vitale che svolgeva da secoli, rimarcato nelle nuove facciate dei palazzi e nell’impianto scenografico della visione d’insieme, ancora oggi perfettamente conservato. Vicina ad essa si trova Piazza De Marini, nome di un’importante famiglia che in questo luogo aveva diversi edifici, come risulta da rogiti notarili dell’epoca. Fino al XII secolo, l’area dove ora si trova la piazza risultava appena fuori le mura, e in corrispondenza dell’arco di Piazza Cinque Lampadi, che precede Banchi, era l’ingresso della città. Qui veniva depositato il marmo scaricato dalle navi (ancora una volta, le aree di deposito risultano vicinissime alla riva) e destinato all’edilizia e alle sculture. Documenti del 1186 testimoniano inoltre, vicino a tale deposito, mercati di grano e olio. Riguardo al singolare nome Cinque Lampadi, sappiamo che è dovuto all’antica presenza di cinque lampade perennemente ardenti disposte davanti a un quadro raffigurante la Madonna col Bambino, protetto da un’inferriata e posizionato sul muro esterno di un edificio.

Risalendo da Piazza Banchi verso il centro moderno, la linea di demarcazione tra Molo e Maddalena percorre Via Orefici (qui gli orafi avevano infatti le loro botteghe), attraversa Piazza Campetto e giunge a De Ferrari attraverso Salita S.Matteo. Piazza S.Matteo era centro dell’area occupata dalla famiglia Doria. Realizzata a metà Duecento per iniziativa di Lamba Doria, su di essa affacciavano diversi palazzi – dimore di famiglia – e la chiesa gentilizia di S.Matteo. Gli edifici, la chiesa e l’intera piazzetta, circondata dalla viabilità ma non da essa intersecata, a conferma del carattere privato del cosiddetto “borghetto” Doria, sono ancora perfettamente conservati (sono stati restaurati negli anni ’50 e riportati al primitivo aspetto duecentesco) e restituiscono bene l’immagine della potenza dei Doria, che già in periodo medievale, a capo della fazione ghibellina, contendevano il dominio della città ai Fieschi, famiglia di riferimento della fazione guelfa. Sia il palazzo abitato da Lamba Doria sia quello destinato ad Andrea furono doni della Repubblica (1298 e 1528) a suoi esponenti valorosi, motivo d’orgoglio della città tutta. La chiesa gentilizia, che ospita le tombe di diversi membri della famiglia, fu fatta erigere nel 1125 da Martino Doria, che la intitolò al santo protettore dell’ufficio svolto all’epoca dalla famiglia, ovvero la riscossione delle imposte.

LA COLLINA DI SARZANO, IL PRIMO INSEDIAMENTO

Come già detto, l’area più antica del sestiere del Molo, primo nucleo della città, si trova sulla collina di Sarzano o Castello. Che l’urbanistica originaria del luogo sia da far risalire almeno all’epoca romana è dimostrato, oltre che dall’impianto regolare della pianta, dai ritrovamenti archeologici che ascrivono la zona al III sec. a.C.[3], dal fatto che negli edifici si trovino inglobate preesistenze attribuibili a quel periodo e che le stratificazioni presentino fortificazioni addirittura preromane. Lo storico latino Tito Livio fornisce una preziosa testimonianza riguardo l’oppidum di Castello quando riporta l’ordine di ricostruzione della città dopo la distruzione operata da Magone, fratello di Annibale, nel 205 a.C. In quest’occasione venne inviato a sovrintendere alla ricostruzione il proconsole Spurio Lucrezio, che spostò il principale nucleo urbano dal Castello alla zona sottostante, nel perimetro Giustiniani-Canneto-S.Bernardo.

Torre Embriaci, centro Storico genova

Castello era sede del castrum a tre torri, centro e roccaforte difensiva del nucleo primitivo di Genova, impresso per lungo tempo sulle monete d’oro genovesi. Quando il Longobardo Rotari conquistò la città intorno al 650, provvide a sistemare e rinforzare il castrum; suo figlio Ariperto, alcuni anni dopo, pare facesse erigere all’interno delle mura del Castello un primo tempio dedicato a S.Maria (il primo della città), corrispondente all’area della sacrestia dell’attuale chiesa. Su questo nucleo primario venne poi sviluppato il  complesso, ancora oggi esistente, di S.Maria di Castello. Eretta a inizio XII secolo e consacrata nel 1237[4], è un ulteriore esempio tra i monumenti del centro storico in cui si trovano reimpiegati frammenti architettonici romani. Qui, ben prima che fosse costruito Palazzo S.Giorgio, i Consoli del Comune erano soliti amministrare la giustizia, secondo un costume molto diffuso, in città, di trattare affari importanti presso il santuario. Nello stesso luogo era stato edificato, tra IX e X secolo, anche il palazzo vescovile: questo mostra come la posizione rialzata e favorevole della collina fosse importante, visto che qui erano le sedi sia del potere militare sia di quello religioso. A quell’epoca, chi giungeva dal mare vedeva stagliarsi la chiesa proprio sulla sommità della collina e dominare il territorio circostante[5]. Non distante da essa, la chiesa di S.Maria in Passione, sventrata dai bombardamenti della Seconda Guerra e mai più reintegrata (le incursioni aeree del 22 ottobre 1942 danneggiarono gravemente la collina di Castello e quelle del 4 settembre ’44 la rasero quasi completamente al suolo). Esattamente come S.Maria in Castello, anche quest’edificio presenta stratificazioni che attestano preesistenze di epoca preromana, romana e bizantina su cui poi sono intervenute aggiunte in epoca longobarda, medievale e rinascimentale. Nella presenza di massicci blocchi di pietra alla base dei muri alcuni studiosi hanno letto i residui delle antiche mura di cinta del Castello. Nella parte discendente della collina si trovano il Palazzo e la Torre degli Embriaci[6], l’unica rimasta in città perfettamente conservata nella sua interezza, sopravvissuta al decreto di taglio delle torri private del 1196, alle lotte intestine, ai bombardamenti cui la città fu sottoposta nei secoli, ultimi quelli della Seconda Guerra.

Scendendo ancora e proseguendo oltre la già citata Via delle Grazie ecco Piazza S.Giorgio (dove si trova la Chiesa di S.Torpete, esistente già nel X secolo ed intitolata non a caso, proprio in prossimità del porto, al santo protettore dei marinai). La zona era anticamente denominata Forum Sanctii Georgii, luogo di incontro e mercato fin da epoca romana e bizantina, lungo la via di congiunzione tra il porto e il castrum. Qui risulta insediata fin da tempi remoti l’antichissima famiglia genovese Cattaneo della Volta, che vi possedeva palazzi e terreni (Vico Cattaneo, Piazza Cattaneo); la sua importanza è illustrata anche dal fatto che uno dei ponti del Molo prendesse nome proprio da essa (ponte dei Cattanei). Nel XII secolo nelle adiacenze della piazza si trovavano diverse dimore nobili – Vento, Alberici, Baruzzi – con relative torri (demolite nel corso del tempo eccetto la torre degli Alberici, inglobata nel campanile della chiesa di S.Giorgio) e documenti coevi ne testimoniano la posizione vicinissima al mare e la destinazione a mercato cittadino.

PORTA SOPRANA E SANT’ANDREA

Il sestiere è attraversato da un lato all’altro da alcuni rettifili che – fino all’apertura completa di Via S.Lorenzo – conducevano al porto chi giungeva da fuori città con un percorso il più rapido e ampio possibile. Da Porta Soprana prendevano dunque il via tre direttrici parallele: Via Canneto il Lungo, cui si giunge tramite Vico dei Notari, Via dei Giustiniani e Via S.Bernardo, tutte vie i cui edifici portano, nella giustapposizione e stratificazione degli elementi architettonici, testimonianze di epoca romana, medievale e rinascimentale. Bisogna infatti considerare un fatto essenziale per la comprensione dell’evoluzione urbana del centro storico: il tessuto abitativo è talmente fitto che non sono possibili interventi profondi di adeguamento e ristrutturazione che non significhino demolizione e diradamento. L’apertura di grandi direttrici come Strada Nuova, Nuovissima o S.Lorenzo ne sono dimostrazione tangibile. Questo significa che i rinnovamenti operati nei secoli, seguendo i nuovi stili, su edifici di stampo medievale o precedente necessariamente si stratificano e si adattano alle preesistenze architettoniche, con risultati peculiari e irripetibili. Queste sono d’altronde le condizioni che hanno fatto sì che il centro storico sia arrivato a noi quasi intatto nella sua unicità.

Il toponimo canneto può avere diverse origini: una mitologica, poiché Canneto è il barbiere di Re Mida, l’altra legata al commercio, poiché qui i Focesi, stabilitisi nella piana del Bisagno, commerciavano canne da pesca: infatti anticamente vi scorreva un rivo con relativo canneto, da cui la piantagione di canne. La strada risulta edificata fin dal 1100, con case, botteghe di spadai e fonditori di campane, e botteghe alimentari di rinomata qualità, frequentatissime dalle popolane che qui si rifornivano. Ancora oggi la strada è un susseguirsi di botteghe, negozi di alimentari, drogherie in un ambiente quanto mai caratteristico che evoca atmosfere d’altri tempi. Alla via è legato un episodio della vita di S.Caterina da Siena: nel 1376, di ritorno da Avignone, dove aveva convinto Papa Gregorio XI a tornare a Roma, Caterina fece sosta a Genova, alloggiando in una casa di Canneto per una decina di giorni. Via dei Giustiniani deve il nome alla potente famiglia omonima, che lungo la direttrice della chiavica che corre verso il mare eresse nel tempo una serie di dimore che andarono progressivamente a formare la strada. Il nome Giustiniani ha una storia particolare: venne assunto deliberatamente nel 1362 da cittadini che si riunirono in società per l’amministrazione dell’isola di Scio (sotto controllo genovese) abbandonando dunque il nome del proprio casato e dando origine a una nuova stirpe[7]. L’esistenza di Via S.Bernardo, il cui nome attuale rimanda a chiesa e convento intitolati al santo, è testimoniata fin dal 1345 col nome di Via dei Salvaghi, nobile famiglia ivi insediatasi e proveniente dalla Lombardia. Anticamente si chiamava Via di Piazzalunga e collegando il mercato di S.Giorgio, adiacente la Ripa, con Porta Soprana, veniva percorsa dai carri dei mercanti che si dirigevano verso i paesi del Bisagno o della costa.

Altri due caruggi si dipartono dalla Porta di S.Andrea: il primo, che si dirige verso la sommità della collina, è Via Ravecca, che sbuca in Piazza Sarzano (dove oggi si trova, nella sconsacrata Chiesa di S.Agostino, il museo omonimo). Il toponimo Ravecca è antichissimo e di origine alquanto incerta: alcuni studiosi lo fanno derivare dal fatto che di lì si andava alla sacra vetta di Giano (sacra vecta, ra-vecta, ravecca). In epoca medievale esso indica non solo la via, ma tutta la zona circostante. Qui nel XIII secolo vi hanno case e possedimenti gli Embriaci e i Fieschi. Piazza Sarzano, il cui nome sembra derivare da Arx Jani, ossia l’Arce (roccaforte) di Giano, protettore della città, è il punto originario di insediamento sulla collina di Castello, ed è indicata dal Giustiniani come luogo dove avveniva la lavorazione delle sartie, le spesse corde di canapa intrecciata utilizzate sulle navi, ma anche come zona di ritrovo e parlamento dei genovesi, con una funzione quindi di agorà cittadina: qui infatti nel 1311 i cittadini giurarono fedeltà all’imperatore Enrico VII, e sempre qui nel 1490 si tennero tornei per festeggiare la nascita dell’erede di Agostino Adorno. Qui nel 1640 avvenne inoltre l’omicidio del talentuoso Pellegro Piola, giovane e promettente pittore della famiglia di artisti attivissima a Genova. Nel secondo dopoguerra e fino agli anni settanta qui e nelle zone circostanti (così come in Via Pré) era frequente incontrare banchetti che facevano il gioco delle tre carte, spillando soldi ai malcapitati che si fossero lasciati abbindolare. Sarzano ospita una fontana collocata all’interno di un tempietto a sei colonne realizzato nel ‘600, alla sommità del quale svetta il busto di Giano Bifronte, opera dei Della Porta e spostato su fontane diverse fino alla sistemazione ultima in questa sede (attualmente è esposta una copia dell’originale conservato in S.Agostino). Dalla piazza si scendeva direttamente alla marina, attraversando il rione di Campopisano.

Il secondo vicolo, che reca invece ai piedi della collina di S.Andrea, è la ripida Salita del Prione, che sbocca in Piazza delle Erbe, celebre per la movida serale e punto nevralgico da cui è partito, negli ultimi anni, il recupero e la progressiva riappropriazione degli spazi del centro storico. Qui un tempo si teneva il mercato ortofrutticolo, e i besagnini che portavano i loro prodotti in città erano tenuti ad iscriversi ad un apposito registro da cui i Padri del Comune estraevano a sorte per l’assegnazione dei posti, per i quali peraltro si pagava una tassa. Poco distante dalle Erbe è Piazza S.Donato con relativa chiesa romanica, anch’essa una delle più antiche di Genova, edificata nell’XI secolo su preesistenze, sembra, addirittura del VII, utilizzando colonne romane e capitelli di reimpiego, ed eretta a parrocchia già dal 1189. La contrada del Prione risulta abitata nel tempo da diverse famiglie di artisti, tra cui Lazzaro Tavarone, i Carlone e i Carbone (da cui il celebre ritrattista allievo di Van Dyck).

Appena fuori dalla Porta, oltre il Piano di S.Andrea, comincia Via del Colle, che costeggia le murette, ovvero il tratto residuo di mura erette nel 1153. La via mena al rione di Campopisano, scendendo lungo il quale si giungeva, anticamente, direttamente al mare che lambiva la collina di Sarzano. Il nome della località viene attribuito generalmente al fatto che qui furono tenuti i prigionieri pisani tradotti in catene a Genova dopo la Battaglia della Meloria (1284) in cui Genova distrusse per sempre Pisa come potenza marinara. Ma è pur vero che il toponimo si trova anche in documenti più antichi, risalenti addirittura all’XI secolo, motivo per cui un’altra interpretazione indica il luogo come campo militare della flotta romana, costruitovi dall’ammiraglio Marco Vipsanio Agrippa, e chiamato quindi in suo onore Campo Vipsanio, col tempo corrottosi in Pisano. La zona è delimitata a mare da un tratto residuo di antiche mura, che in questo punto prendono il nome di mura delle Grazie e mura della Marina, ancora una volta dimostrando lo stretto collegamento tra toponimi e caratteristiche dei luoghi o attività umane che ivi si svolgevano.

Claudia Baghino


[1] Nel 1257 e nel 1283 si registrano i primi interventi di prolungamento del molo, mentre del 1324 è l’erezione, in testa al molo, della cosiddetta Torre dei Greci. Va ricordato inoltre il terribile nubifragio del 1821, che danneggia gravemente il molo e ne rende necessari la riparazione ed un nuovo allungamento, operati da Domenico Chiodo.

[2] Con quella che fu una vera e propria spedizione punitiva, Luigi XIV si vendicò di oltre un secolo di politica antifrancese condotta dalla Superba. Composta di 160 navi, la flotta del Re Sole giunse indisturbata fino al porto e lì si schierò: bombardiere, galee e vascelli che coprivano con la loro posizione il tratto da Sarzano alla Lanterna. Cominciò un tiro al bersaglio che scaricò sulla città migliaia di bombe incendiarie distruggendo circa tremila abitazioni e danneggiando il resto. Dopo un simile attacco la città fu ovviamente costretta alla resa.

[3] Nell’area di Piazza De Ferrari sono stati rinvenuti reperti appartenenti ad una necropoli del V-III sec. a.C..

[4] Alcuni blocchi di pietra alla base dei muri hanno proporzioni corrispondenti a quelle utilizzate nelle costruzioni romane. Secondo il Federici, nel 647 Rotari, re longobardo, giunse da Luni portando con sé le colonne romane ora nella chiesa, destinate in primis a Pavia, all’epoca capitale longobarda. Pare che la decisione di lasciarle in loco sia sopraggiunta una volta preso atto dell’impossibilità di valicare gli Appennini con un carico così ingente.

[5] Il portale d’ingresso della chiesa è stato realizzato utilizzando un frammento di cornice romana come architrave.

[6] Della potente famiglia fu insigne esponente Guglielmo Embriaco: fu lui a capo della flotta armata dal Comune nel 1097 e inviata in aiuto ai cristiani in Terra Santa in occasione della Prima Crociata. L’arrivo dei genovesi comandati dall’Embriaco fu determinante per la conquista di Antiochia, cosa che portò Boemondo, capo dell’esercito crociato, a concedere a Genova un quartiere della città conquistata. Nel 1099 l’intervento di Guglielmo, a capo di una seconda spedizione genovese in soccorso all’esercito cristiano stremato da un assedio infinito, si rivelò di nuovo risolutivo e permise la presa di Gerusalemme. Seguì una terza spedizione che portò vittorie ripetute, larghi bottini, e contrade esenti da tributi in tutte le città espugnate. Fu così che l’Embriaco poté tornare a Genova recando le ceneri del Battista (che divenne da allora patrono della città) e la coppa verde ritenuta il Santo Graal.

[7] Alla famiglia appartiene anche padre Agostino Giustiniani, studioso autore dei celebri Annali.

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