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Val Bisagno, terra di orti e allevamenti

La storia della Val Bisagno, l'Acquedotto e il Cimitero di Staglieno, Molassana, Struppa e Bavari

Genova si sviluppa partendo dal nucleo del centro storico e lentamente espandendosi verso l’esterno. Esistono degli elementi naturali che per secoli si pongono come confini dello spazio urbano: da un lato il colle di S.Benigno, che separa la città dalla valle accanto (la Val Polcevera) e dall’altro il torrente Bisagno. Quando la città comincia ad allargarsi anche oltre i tradizionali confini, le due vallate si pongono come ovvie zone di urbanizzazione lungo direttrici di fondo valle che salgono verso l’interno del territorio. Ancora prima di questo, però, la Val Bisagno mantiene con Genova un dialogo molto stretto basato su rapporti economici e sulla soddisfazione di esigenze cui la città – limitata nel suo ridotto spazio protetto da mura – non può provvedere da sola.

Il Bisagno prende acqua nel suo principio da due confluenti, e in ciò starebbe, a detta degli studiosi, l’origine latina del nome: bis amnis, cioè doppio fiume. Fiume perché anticamente non aveva carattere torrentizio e l’acqua scorreva nel suo letto regolarmente per tutto l’anno, tanto che veniva detto anche feritore, fiume.
Gli studiosi ritengono che la portata d’acqua un tempo più regolare fosse dovuta ad una maggiore copertura boschiva della media e alta valle; le attività umane di approvvigionamento del legname per gli usi più svariati, riducendo sensibilmente tale macchia boschiva, portano il Bisagno ad assumere carattere torrentizio entro il Settecento, quando le testimonianze iconografiche che abbiamo a disposizione restituiscono l’immagine di una percentuale boschiva relativamente simile a quella attuale.

La valle, la cui formazione risale al periodo cretacico, presenta caratteristiche orografiche che variano moltissimo man mano che si risale il corso del torrente, dalla Foce fino alla sorgente, nei pressi del Passo della Scoffera. Queste peculiarità hanno naturalmente condizionato le modalità di insediamento e sviluppo delle attività umane.

Relativamente alle caratteristiche morfologiche si può dividere il territorio della vallata in cinque zone: la piana alluvionale – circondata da dolci declivi e per questo ideale luogo di insediamento fin da epoche remote – che va dalla confluenza del rio Fereggiano alla foce; le zone di Marassi e Quezzi, in cui le pendenze dei rilievi si fanno più marcate (cosa che ha determinato la disposizione dei centri abitati nei punti più soleggiati); Molassana, dove la valle si addolcisce nuovamente, che si presta a usi agricoli – tramite i tipici terrazzamenti liguri – e dove gli insediamenti si distribuiscono su entrambi i versanti (S.Siro, S.Eusebio, Serino, S.Cosimo, S.Martino, Fontanegli); il tratto da Prato a Traso, con un fondovalle strettissimo e pendii scoscesi, tanto che gli qui gli insediamenti si trovano a quote più alte, lungo le valli degli affluenti del Bisagno; il segmento da Traso alla sorgente, che compie una curva ulteriore. Qui la valle si fa di nuovo più aperta e meno ripida e accoglie vari borghi (Davagna, Bargagli).

Risalendo il corso del torrente, nella zona del paese di Montanasco e in quella, più avanti, in cui il Lentro si getta nel Bisagno i rilievi sono costituiti da marna (una roccia sedimentaria calcareo-argillosa usata per la fabbricazione di calci idrauliche), il che spiega la tradizione estrattiva secolare che caratterizza i paesi di questa porzione di territorio, con larga presenza di cave di calcare, mulini (che comunque fin da tempi antichi si snodano lungo tutto il corso del torrente) e fabbriche[1] che sfruttano l’energia idraulica dei vicini torrenti per le attrezzature[2]. Col materiale di scavo proveniente da questi luoghi è stata edificata gran parte del centro storico. Le attività umane hanno profondamente inciso sull’aspetto del territorio, che si presenta boschivo o meno in relazione al tipo di sfruttamento riservato alle diverse zone. Se la piana della foce o le parti più alte dei rilievi sono da sempre state destinate alla coltivazione, quelle più ripide e meno soleggiate hanno mantenuto maggiormente l’aspetto originario, con boschi soprattutto di castagno[3].

LA PIANA DEL BISAGNO

La piana del Bisagno è la zona di Genova che presenta le testimonianze più antiche in assoluto della presenza dell’uomo: le prime tracce, rinvenute attraverso scavi, risalgono addirittura al periodo neolitico (V-IV millennio a.C.), nelle zone di Molassana e Traso, e dimostrano che gli spostamenti venivano compiuti, com’è ovvio, seguendo le direttrici di valle, come accade anche in epoca preromana. Gli insediamenti aumentano poi in epoca romana e sensibilmente dopo il Mille, in dipendenza di un aumento demografico che interessa l’intera vallata: d’altronde il popolamento della valle è legato strettamente alle attività della vicina Genova, poiché la Val Bisagno ne soddisfa costantemente nel tempo il fabbisogno di prodotti agricoli e di manovalanza (il termine genovese besagnino col significato di fruttivendolo deriva proprio dal fatto che gli abitanti della valle erano detti bisagnini, da Bisagno, ed erano per la maggioranza contadini).

I numerosi edifici religiosi oggi esistenti il cui impianto originario risale al Medioevo sono prova del suddetto aumento, e anche nei secoli successivi si può seguire la crescita demografica seguendo il sorgere di nuove chiese. Relativamente alla divisione territoriale ecclesiastica, anticamente la valle è divisa in tre pievi: S.Nazaro, sulla costa, cui fa capo la bassa valle, S.Siro, nella media valle, e Bargagli, nella alta. Alcune note di interesse: la pieve di S.Siro – la cui chiesa è perfettamente conservata – rivendica i natali del santo omonimo, vescovo di Genova vissuto nel IV secolo (a lui è intitolata la cattedra episcopale cittadina); la chiesa di S.Nazaro alla Foce invece, risulta essere, negli annali del Giustiniani, la prima chiesa in cui sia mai stata celebrata pubblicamente la messa in Italia, “secondo l’opinione comune”. Man mano che i vari borghi si ingrandiscono ottengono lo status di parrocchie indipendenti.

Della città antica è andato completamente perso, tramite gli interventi di ammodernamento che si susseguono a partire dall’Ottocento, l’aspetto originario delle Fronti Basse oltre Porta Pila, dove le mura si stagliavano imponenti dalla collina di Carignano a quella dello Zerbino e rappresentavano una netta cesura tra lo spazio urbano e quello extraurbano: oltre di esse, la piana col torrente ancora scoperto, il Ponte Pila e successivamente, dietro di esso, quello della ferrovia. In questa parte della piana, vista la disponibilità di ampi spazi, per secoli avvengono le esercitazioni militari e i pompieri hanno qui i loro magazzini. Sempre per lo stesso motivo, qui sfilano le parate carnevalesche e hanno luogo feste e tornei, qui ha sede la corte dei miracoli, dove si fermano le carovane di nomadi, giocolieri, circensi, veggenti. Nel 1892 la piana ospita i padiglioni dell’Esposizione Colombiana, e successivamente diverse altre manifestazioni di impianto grandioso[4].

LA CRESCITA DEMOGRAFICA, L’ACQUEDOTTO E IL CIMITERO

Tra l’undicesimo e il tredicesimo secolo il popolamento sempre maggiore della valle comincia ad essere regolato anche a livello politico e amministrativo, come è testimoniato negli annali del Caffaro, e si dà vita alla podestaria, sorta di circoscrizione i cui confini sono a ovest Genova e la Val Polcevera, a nord i feudi imperiali (poi stato di Parma e Piacenza), a est la Val Fontanabuona e il torrente di Sori. Un territorio di notevole estensione che conta nel 1535 (annali del Giustiniani) una popolazione di circa 12-13 mila abitanti, cifra considerevole per i tempi. A parte gli arresti dovuti a carestie, guerre ed epidemie, l’incremento della popolazione prosegue costantemente nei secoli. Nel Settecento il titolo amministrativo della valle è mutato dalla Repubblica in governo, per un’area di 15 miglia di lunghezza per 7 di larghezza nel punto massimo, largamente impiegata nella produzione di vino e prodotti agricoli. Nell’Ottocento l’organizzazione amministrativa si evolve e la valle viene suddivisa in 14 comuni che nel censimento di metà secolo contano oltre 35.000 abitanti. Con le annessioni amministrative del 1874 Foce, Albaro, S.Martino, S.Fruttuoso, Marassi e Staglieno, fino a questo momento comuni autonomi appartenenti alla Val Bisagno, diventano quartieri urbani in relazione all’inarrestabile espansione della città, e lo stesso accade nel 1926 con la creazione della Grande Genova (vai al documentario storico) e l’annessione di Molassana, Struppa e Bavari.

I cambiamenti di maggior portata avvengono però nel secondo dopoguerra, quando dagli anni ’50 ai ‘70 gli abitanti della bassa vallata crescono a ritmi esponenziali, e lo sviluppo urbanistico, connotato da una speculazione edilizia totalmente senza scrupoli, si lega direttamente a tale forte incremento, facendo scempio delle preesistenze e della storia di questi luoghi.
Il legame secolare della valle col capoluogo si individua anche a livello architettonico con la presenza di diverse tipologie edilizie, tutte funzionali ad esigenze della vicina città. L’acquedotto è forse l’opera più importante, e la sua presenza lungo la vallata si snoda attraverso le epoche, con ingrandimenti realizzati in tappe successive e costanti miglioramenti strutturali, dal Medioevo all’Ottocento (quando viene realizzato il ponte sifone sul Veilino)[5].

La presenza dell’acquedotto è percepita con non poca insofferenza dagli abitanti della valle, perché sottrae acqua ai loro campi: in tutte le epoche essi cercano, finché possono, di trarre irrigazione per le coltivazioni dai fossati del percorso dell’acquedotto, ma la prevaricazione degli interessi locali a beneficio dell’urbe viene portata avanti senza indugi, spesso con l’uso delle armi.
Un’altra rilevante tipologia è quella difensiva, che conta un alto numero di fortificazioni poste a presidio della città e del territorio ad essa adiacente lungo tutta la bassa e media valle. Tra le costruzioni più antiche si annovera il Castello di Molassana (atto alla sorveglianza delle vie di transito), la cui esistenza si rileva nei registri della Curia di Genova fin dal 990. Sempre nell’orbita del sistema difensivo, un altro elemento caratterizzante è rappresentato dalle due cerchia di mura che interessano la Val Bisagno, prima quella cinquecentesca che si estende dall’Acquasola alla Foce, e poi quella seicentesca che interessa la valle per il tratto che va dalle mura del Prato alla Cima di Peralto.

Il cimitero di Staglieno è anch’esso strettamente legato ad un’esigenza urbana, laddove si concretizza il bisogno di trovare un luogo degno di sepoltura per i tanti poveri – circa due terzi della popolazione – i cui corpi sono gettati in grandi fosse comuni ai “mucchi dell’Acquasola” e dal ‘500 alla Foce presso il bastione della Strega, in un sito dove le esalazioni dei corpi in putrefazione appestano l’aria circostante, gli ammassi di cadaveri offrono immagini miserevoli, e le mareggiate trascinano in acqua i poveri resti. Nel 1844 perciò prende il via la costruzione del cimitero a Staglieno su progetto originario del Barabino, ripreso e realizzato dal suo successore Resasco. Lo schema di base è rettangolare e subisce aggiunte semicircolari, espandendosi sulla collina tra il Veilino, l’acquedotto e la Salita di S.Bartolomeo[6].

Altra architettura da ricordare è il lazzaretto della Foce, la cui presenza risulta fin dal 1250, ampliato a metà ‘400, rinnovato completamente nel ‘500 e destinato a ospitare sia i genovesi contagiati (o presunti tali), sia persone in quarantena, provenienti dall’area extraurbana e sospettate di malattie[7]. È qui che vengono rinchiusi gli appestati durante la terribile epidemia del 1656-7 che decima gli abitanti della città, così come i malati di tifo, tigna, malattie veneree e colera, quest’ultimo particolarmente diffuso nell’Ottocento e con strascichi fino all’inizio del Novecento. Inoltre una parte della struttura viene successivamente utilizzata come bagno penale i cui detenuti sono impiegati in cantieri e in opere di pubblica utilità. Anche il lazzaretto è un ottimo esempio di intervento sul territorio della valle operato a uso e consumo di Genova. Accanto ad esso compaiono già dal ‘400 i cantieri navali della Foce, la cui importanza aumenta in epoca moderna e soprattutto con la produzione bellica del primo novecento, andando a espandersi sull’area ormai dismessa del lazzaretto (parzialmente demolito nel 1810): la loro fortuna finisce in coincidenza con l’industrializzazione del ponente, ed essi scompaiono definitivamente nel 1930. Un ultimo tipo edilizio legato alla città è costituito infine dalle ville patrizie, residenze estive dei nobili genovesi, che qui comunque presentano una frequenza decisamente inferiore rispetto alla Val Polcevera o alla costa[8].

ORTI E ALLEVAMENTI

Legate a Genova sono naturalmente anche le vie di comunicazione, che dalle antiche mulattiere di ieri alle vie di scorrimento veloce di oggi illustrano bene la necessità di dialogo tra città e vallata. Se originariamente i percorsi si posizionano a mezzacosta, la costruzione di una più ampia strada rotabile di fondo valle comincia a inizio ‘800, subisce diverse battute d’arresto tra cui una grave distruzione per via di una piena del Bisagno nel 1822, e viene portata a termine negli anni ’70 del secolo arrivando al Passo della Scoffera.
Tra i paesaggi di cui oggi restano solo testimonianze scritte e immagini, l’ampia distesa di orti che fino all’urbanizzazione ottocentesca caratterizza tutta la piana del torrente a Marassi e alla Foce fino alla collina di Albaro. L’attività di coltivazione dei campi è così importante da meritare una gestione specifica da parte dei Padri del Comune e da avere un’apposita corporazione (la corporazione degli ortolani appunto) che si occupa di tutte le questioni legate a confini, distribuzione del prodotto, recinzioni e via dicendo. Oltre agli orti la valle ospita frutteti, vigneti, castagneti, per non dimenticare che nella media ma soprattutto nell’alta valle è estremamente diffuso l’allevamento, prima specialmente ovino e caprino, poi soppiantato da quello bovino, quindi la vallata provvede nei secoli anche al fabbisogno di latte e latticini della città.

STAGLIENO

Sebbene oggi il quartiere di Staglieno (il cui nome potrebbe derivare, secondo lo storico Alizeri, dal colle Stalianum che si trova tra i rilievi della zona) sia identificato principalmente col cimitero qui situato, il luogo ha radici che affondano nell’esistenza di tanti piccoli insediamenti tutti legati al passaggio di strade che da Genova conducevano verso l’entroterra, e all’epoca degli insediamenti primitivi, secondo gli studi, qui vi era un porto.

La zona dove oggi sorge il cimitero era in realtà, originariamente, pochissimo abitata, trovandosi la maggior parte dei centri abitati sulle colline, ed è proprio per questo che viene individuata come ubicazione ideale per il grande camposanto che doveva soddisfare le esigenze dell’intera città. Per leggere la storia del luogo bisogna guardare, perciò, alle piccole frazioni che lo compongono, che in questa zona si sono sviluppate sulle alture della riva destra del Bisagno, meno ripide e meglio esposte. Casamavari, S.Bartolomeo, S.Pantaleo, Preli, S.Gottardo sono tutti paesi di origine medievale, sviluppatisi su direttrici viarie molto frequentate, caratterizzati nei secoli dalle attività agricole e pastorizie, e che ancora oggi conservano la presenza di case antiche dai muri di pietra e i tetti in ardesia, vecchie stalle riattate ad abitazione, antiche ville diroccate. Staglieno è il sesto dei primi comuni annessi a Genova nel 1874, ma la decisione di costruire qui il cimitero viene presa diversi decenni prima unilateralmente dall’amministrazione cittadina che esegue i contenuti del decreto regio che vieta le sepolture nelle chiese e nei centri abitati. Steso in un primo tempo dal Barabino, il progetto viene ampliato e realizzato dal suo successore Resasco e il cimitero viene inaugurato nel 1851. Estesosi nel tempo fino a occupare l’intera collina davanti a cui sorge, diventa presto luogo di autocelebrazione della ricca borghesia ottocentesca genovese, che attraverso committenze di eccezionali monumenti funebri riafferma anche nell’ultima dimora il proprio potere. È ad oggi uno dei più vasti ed importanti cimiteri monumentali d’Europa.

MOLASSANA

Entrata a far parte della Grande Genova nel 1926, Molassana nasce anticamente come insediamento rurale, grazie alla qualità del terreno della zona, umido e a tendenza paludosa, ma anche molto fertile. Qui infatti il Geirato confluisce nel Bisagno, creando le condizioni ideali per un intenso sfruttamento agricolo. Come sempre accade, i toponimi di origine remota portano in sé radici che indicano le caratteristiche del luogo cui danno il nome, e Molassana non fa eccezione: in epoca tardo romana è detta mollicciana con esplicito riferimento alla qualità molle del terreno. Dal periodo romano (a testimonianza della presenza umana sono i ritrovamenti in loco di resti di sculture) a tutto il Medioevo, Molassana è punto di incontro di una serie di direttrici viarie: da qui si va al passo della Scoffera e si raggiunge l’importantissima Via del Sale. La chiesa di S.Maria Assunta di Molassana viene eretta a parrocchia già nel 1268, indice certo, questo, della popolosità dell’abitato. Esso tuttavia finisce per perdere importanza dopo la peste del 1473, che produce un notevole spopolamento della zona. Dell’area di Molassana fanno parte i borghi, sviluppatisi tutti come paesi di via, di Pino Sottano e Soprano, Castello di Pino (dove un’antichissima fortificazione difendeva la mulattiera diretta alla Val Polcevera), Carpi, Geirato (omonimo ovviamente dell’affluente del Bisagno), Cartagenova.

STRUPPA

Fino a fine Trecento Struppa (costituita da due abitati, La Doria e Prato, i cui nomi sono da attribuirsi uno ad Antonio Doria che vi acquista un vasto fondo nel ‘700, l’altro alla natura del paesaggio che qui formava in passato una grande piana verdeggiante) e le zone ad essa adiacenti vengono indicate come “di Molassana”, dimostrazione questa di come la località più importante della zona fosse appunto Molassana.
A partire dal ‘400, in corrispondenza con la perdita di rilevanza di Molassana, Struppa diviene comune autonomo, rimanendo tale fino all’annessione del 1926. Fino ad allora, dell’orbita amministrativa di Struppa fanno parte S.Siro, S.Cosimo, S.Martino di Struppa, Aggio. Anche in questo caso si può parlare di paesi sviluppatisi in zone adatte all’agricoltura, dislocati a mezza costa per evitare le piene del torrente, situati lungo mulattiere ben frequentate e favorevolmente esposti. Per lungo tempo la fama di Struppa è infatti legata all’ottima qualità dei suoi prodotti agricoli. Della chiesa di S.Siro di Struppa e della relativa frazione si è già detto precedentemente. S.Siro appare, negli annali cinquecenteschi del Giustiniani, zona molto popolata; qui sorgono ville di campagna di patrizi genovesi come villa Doria Centurione e castello Sauli. Stessa cosa si può dire di Aggio, borgo che presenta la maggior densità abitativa di queste zone (a differenza degli altri borghi, che si connotano sempre con le caratteristiche delle villae rurali, ovvero insediamenti sparsi in cui gli edifici sono ampiamente intervallati da terreni). Tra le altre residenze nobili della zona, il palazzo di Gio Luca Pallavicino, intorno al quale si sviluppa il piccolo insediamento di Prato nel fondovalle, e la villa, nella medesima località, di Gio Batta Invrea.

BAVARI

Dopo essere stato per secoli comune del tutto indipendente, anche Bavari oggi rientra nei confini del Comune di Genova, in seguito all’annessione del ’26. Il crinale su cui si sviluppa separa la Val Bisagno dalla Valle dello Sturla, e per via della sua posizione è zona di passaggio obbligato, per centinaia di anni, per coloro che transitano da una valle all’altra senza dover passare da Genova. Il nome del luogo è legato al fatto che qui, poco dopo la caduta dell’impero romano, si stanzia un gruppo di barbari germanici appartenenti alla tribù dei Bavari, ma la zona pare essere abitata già in tempi decisamente più remoti dai Liguri, ben prima che i Romani estendano la loro giurisdizione sulla regione. Di Bavari fanno parte le frazioni di Montesignano, S.Eusebio, Serino, Serato, Montelungo, Fontanegli, nate lungo le vie di comunicazione e quindi luoghi di sosta per i viaggiatori. Il nucleo di Bavari si sviluppa, come per gli altri borghi della valle, intorno alla chiesa intitolata a S.Giorgio – unica fuori dalla città ad essere dedicata al santo patrono genovese – e la cui esistenza è documentata fin dal Mille (nella struttura odierna si rilevano ancora, peraltro, le tracce architettoniche romaniche); la posizione strategica del centro abitato, dal quale si ha accesso a ben due valli che conducono a Genova, fa sì che esso svolga nel tempo una rilevante funzione di controllo sia delle direttrici che giungono dall’entroterra sia di quelle che arrivano dalla costa.

Claudia Baghino


[1] Oggi alcune sono antichi e suggestivi edifici abbandonati, altre sono state rilevate e ristrutturate da ditte private.
[2] Qui si trova anche il piccolo borgo denominato La Presa, il cui nome è direttamente legato alla presenza dell’antico acquedotto che qui aveva appunto la sua prima presa d’acqua; l’architettura dell’acquedotto, col suo lungo percorso lungo la valle, è presente ancora oggi sebbene definitivamente dismesso negli anni ’60. Le acque dell’acquedotto antico vengono dichiarate non potabili nel 1917 ma esso continua a funzionare fino agli anni ’60 per altri usi, fino alla definitiva dismissione.
[3] Che tali boschi fossero in passato eccezionalmente fitti è indirettamente testimoniato dall’annalista Giustiniani, che racconta come negli anni venti del Trecento numerosi lupi popolassero i monti e scendessero lungo la valle facendo strage di abitanti.
[4] Da ricordare la Mostra Internazionale d’Igiene Marinara, 1914, per la quale viene realizzata addirittura un ferrovia sospesa a una rotaia, la Telfer, poi smontata al termine dell’evento.
[5] Nel 1842. Del 1777 è invece il ponte sifone sul Geirato. Il ponte sul Veilino ha il suo disegno originario in un progetto di Barabino.
[6] Durante i lavori viene rinvenuta in situ una necropoli romana.
[7] Nel 1743 viene trattenuto in quarantena anche Jean Jacques Rousseau, in viaggio a Genova.
[8] Le ville ancora oggi presenti in Valbisagno sono: Villa Imperiale e Villa Sauli-Migone a S.Fruttuoso, Villa Saredo-Parodi, Villa Centurione Musso-Piantelli e Villa Monticelli a Marassi, Villa Brignole Marassi e Villa Pallavicini Zanoletti a S.Gottardo, Villa Durazzo a Pino Sottano, Villa Doria Chiarella alla Doria, Villa Centurione Thellung, Villa Raggi e Villa Ferretti a Fontanegli.

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