Il Novecento: fascismo, guerra e speculazione edilizia

Genova dagli anni '20 agli anni '80 del Novecento. Approfondimento e documentario storico in collaborazione con la Fondazione Ansaldo

GENOVA PRIMA DELLA GUERRA: IL FASCISMO

Negli anni venti e trenta del 900 la storia di Genova, come quella del resto d’Italia, è profondamente segnata dal fascismo. Per quanto riguarda l’edilizia pubblica, la città assiste a radicali mutazioni strutturali che la portano ad assumere progressivamente l’aspetto che ha oggi. La “Grande Genova”, ovvero l’unificazione amministrativa operata dal regime di tutti i comuni circostanti l’attuale centro cittadino, è il risultato di un processo cominciato molti anni prima.

Già nell’Ottocento, con il riassetto urbanistico progettato da Carlo Barabino (vai al documentario sulla storia di Genova nell’800) emerge la necessità di allargare i confini cittadini per far spazio a nuove infrastrutture e zone residenziali destinate al ceto medio. La Genova borghese si espande in collina mentre i ceti meno abbienti si insediano nel Centro Storico, così i nuovi interessi edilizi iniziano a ricadere sulle aree periferiche, dove gli ampi spazi edificabili assicurano la possibilità di espansione residenziale, oltre che, naturalmente, ottime prospettive di speculazione.

Poiché a ponente esiste l’ostacolo naturale del promontorio di San Benigno e dei rilievi che circondano la Val Polcevera, e comunque il ponente è già interessato dal processo di industrializzazione, l’attenzione viene rivolta a levante, nella piana del Bisagno, ed è proprio qui che avvengono, nel 1873, le prime annessioni al Comune di Genova.

I comuni coinvolti sono S.Martino e S.Francesco d’Albaro (zone di villeggiatura della nobiltà genovese), la Foce (abitata per la maggior parte da agricoltori, pescatori, artigiani e operai che lavorano a Genova), S.Fruttuoso e Marassi (zona di lavandaie e orti) e Staglieno (le cui attività economiche sono legate al cimitero).

Compiuta l’annessione, i nuovi quartieri diventano reticoli ortogonali organizzati intorno a due direttrici principali: l’attuale Corso Buenos Aires, già via Minerva, che collega il centro alla collina di Albaro, e la sua perpendicolare Corso Torino-Corso Sardegna.

Dopo la Prima Guerra, il fascismo, come detto, procede alla realizzazione della Grande Genova, che avviene in due fasi: la prima comporta l’annessione di 19 comuni limitrofi (da Voltri a S.Ilario sulla direttrice a mare e all’interno lungo le vallate del Polcevera e del Bisagno, con la città che passa da 335.000 a 580.000 abitanti), la seconda occupa tutti gli anni trenta e parte dei quaranta e opera un rinnovo urbano caratterizzato da soluzioni architettoniche ed edilizie tipiche del linguaggio fascista.

Gli interventi nel centro cittadino, con il piano regolatore del 1930, mettono in pratica la retorica celebrativa del fascismo. Piazza della Vittoria è l’esempio più eclatante, con l’arco ai caduti e i grandi edifici che la contornano e sullo sfondo i due palazzi della Questura e del liceo D’Oria. La zona di piazza Dante assume il ruolo di centro direzionale e rappresentativo dell’immagine di grande città industriale con la costruzione degli edifici attuali tra cui il grattacielo Piacentini.

Una delle trasformazioni più profonde è quella che riguarda la piana del Bisagno nella zona che va da Brignole alla Foce. Di proprietà militare, nell’Ottocento era usata per le esercitazioni, viene acquistata dal Comune che procede alla copertura del letto del torrente con la costruzione dell’attuale strada a doppia carreggiata. Inoltre, viene realizzata la nuova strada sopraelevata di S.Martino, oggi corso Gastaldi, che sostituisce la stretta e tortuosa via di S.Martino ormai insufficiente alla mole di traffico.

A ponente lo sbancamento del promontorio di San Benigno cambia il volto della città. Da qui partono i lavori per la realizzazione della “strada camionale” – alternativa alla statale dei Giovi – che porta da Sampierdarena a Serravalle, oggi autostrada a7. Quest’ultima opera fornisce un’infrastruttura di indispensabile supporto al traffico che si origina dall’attività del porto, e inoltre assorbe un’ingente quantità di forza lavoro in un periodo critico legato alla crisi del ’29: la propaganda di regime non fa mistero degli oltre 27000 operai impiegati nella camionale, terminata in meno di tre anni, dall’ottobre 1932 al settembre 1935.

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

L’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940 con il celebre discorso di Mussolini: dal giorno successivo e per l’intera durata del conflitto, Genova – obiettivo sensibile per il suo ruolo di polo industriale e primo porto italiano (vai al documentario sulla storia del porto di Genova) viene costantemente colpita e massacrata dai bombardamenti alleati, dal cielo e dal mare. Nell’arco dei cinque anni di guerra si contano 86 incursioni aeree sulla città, di cui ben 51 nel solo 1944.

Gravissimi i danni risultanti in termini di perdite di vite umane e devastazione al tessuto urbano, molti frutto dell’incompetenza e dell’inadeguatezza delle misure adottate dal regime per la protezione civile e miltare della città: il Comune appronta trincee di fortuna e ricava ricoveri anche negli stabilimenti e in porto, ciononostante la capienza complessiva è di circa 150.000 persone su oltre 600.000 facenti parte della Grande Genova.

La notte del 22 ottobre 1942, 85 bombardieri Lancaster, in forza all’esercito britannico, colpiscono a ondate il centro cittadino rovesciando su di esso centinaia di bombe e spezzoni incendiari che radono al suolo più di 30 ettari di superficie edificata. La sera successiva un nuovo attacco dà origine a uno degli avvenimenti più tragici del periodo bellico genovese: nella disperata corsa ai rifugi, la gente che si precipita verso la Galleria delle Grazie presso Porta Soprana preme e uccide le persone già entrate, di fatto stritolandole e calpestandole. Muoiono così, schiacciati, in 354. Per liberare la galleria i soccorritori devono spezzare i corpi intrecciati dei cadaveri.

Dopo l’8 settembre 1943 e sino al 1945 gli attacchi sulla città si intensificano, il centro cittadino è pressoché inabitabile, i senzatetto ammontano a 50.000; le strade sono impraticabili perché ricoperte di macerie; le chiese e i palazzi storici sono gravemente mutilati; i principali ospedali danneggiati.

Dopo cinque anni di sofferenza, tra il 23 e il 25 aprile 1945, le forze partigiane liberano la città dalle truppe tedesche. Genova è l’unico caso europeo della Seconda Guerra Mondiale in cui un intero corpo d’armata si sia arreso all’azione delle forze partigiane, ed è stata, per la sua fervida attività antifascista, decorata di medaglia d’oro della Resistenza. Quando gli alleati giungono in città, la trovano ordinata e con i tram in funzione… 

IL DOPOGUERRA E LA SPECULAZIONE EDILIZIA

Nonostante l’azione partigiana abbia evitato il piano di distruzione tedesco in caso di ritirata, la città esce devastata dal secondo conflitto mondiale. Il porto è in ginocchio, e circa un terzo del tessuto edificato a Genova (più di 11.000 edifici) è distrutto o comunque danneggiato, il che implica uno sforzo enorme di ricostruzione, la quale prende il via attraverso l’approvazione dei Piani di Ricostruzione nel 1950. Se fino agli anni quaranta gli interventi urbanistici compiuti avevano seguito norme di razionalizzazione e funzionalità degli spazi, dal dopoguerra questa attenzione a un disegno omogeneo viene a mancare e si interviene per “compartimenti stagni”, quando non addirittura applicando come unico principio la speculazione. È di questo periodo anche la stesura del Piano Particolareggiato di Piccapietra, che parte nel ’51 con la demolizione del vecchio quartiere (vai al filmato storico) e porta alla realizzazione dell’attuale centro direzionale.

L’industria genovese, intanto, vive dall’immediato dopoguerra fino agli anni sessanta il dramma della ristrutturazione, conseguenza dell’eccessiva dilatazione degli organici dovuta agli anni della produzione di guerra e che costa il posto di lavoro a migliaia di lavoratori. In parallelo emergono realtà industriali in crescita come il settore siderurgico, che con lo stabilimento di Cornigliano (vai al filmato storico) arriva, verso la fine degli anni cinquanta, a coprire il 22%  della produzione nazionale.

Gli anni 60 sono caratterizzati dalla riorganizzazione profonda delle aziende pubbliche e dal ridimensionamento del settore cantieristico (tra 1960 e 1970 si perdono nell’industria undicimila posti di lavoro) e si aprono con i burrascosi avvenimenti del giugno 1960: la scelta di Genova come sede del congresso dell’MSI d’ispirazione fascista, viene vissuta come un affronto dalla popolazione, il 28 giugno 30.000 persone scendono in piazza e proclamano per il giorno successivo lo sciopero generale. La tensione si fa altissima. Il 30 giugno iniziano i durissimi scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, che terminano con diversi feriti e portano all’annullamento del congresso. I disordini, in cui si registrano anche dei morti, si propagano presto nel resto del paese e finiscono con le dimissioni del governo. ​

Intanto, grazie a una serie di licenze edilizie previste per legge, lavora moltissimo l’industria del mattone. I cantieri edili continuano a proliferare in città e si moltiplicheranno senza sosta anche negli anni 70.

Il primo Piano Regolatore Generale è del 1959, e l’obiettivo dichiarato è orientare lo sviluppo urbano dando finalmente continuità ai tanti municipi che erano confluiti nella Grande Genova, attraverso tre punti chiave: viabilità, zonizzazione, servizi. Di fatto però l’amministrazione comunale lascia che la città cresca dal punto di vista urbanistico espandendosi senza criterio nelle zone collinari e nelle valli Polcevera e Bisagno.

Fiera di Genova

Accanto alla realizzazione di grandi opere (come Sopraelevata, Pedemontana cioè attuale Corso Europa, diga del Brugneto, aeroporto, polo fieristico della Foce, ampliamento delle direttrici che corrono lungo il Bisagno e il Polcevera), si rileva un aumento del 77% del patrimonio residenziale con la costruzione di centinaia di caseggiati sulle zone collinari da levante a ponenteSampierdarena, Sestri, Oregina, Lagaccio, San Teodoro, Quezzi, Marassi e Borgoratti; l’attuazione di un reticolo autostradale che attraversa in molti tratti i quartieri urbani, lo sventramento di Via Madre di Dio.

Negli anni 70 la popolazione genovese arriva a superare le 800 mila unità, e l’urbanizzazine incontrollata conosce il suo apice con i progetti di edilizia residenziale di Voltri, Pegli, Begato, S.Eusebio, Quarto, all’insegna del modello razionalista del quartiere autosufficiente, poi largamente dimostratosi fallimentare.​

Genova, Corte Lambruschini

Negli anni 80 ecco i nuovi imponenti centri direzionali: il Centro dei Liguri sulle rovine di Madre di Dio che viene realizzato tra 1972 e 1982, la zona di S.Benigno e quella di Corte Lambruschini

Un totale di più di 800.000 metri cubi di tipologie architettoniche moderne che si stagliano nettamente sullo sfondo urbano, con lo sguardo proiettato al futuro con ottimismo e fiducia.

Un futuro che, invece, vedrà Genova perdere in trent’anni quasi 200 mila abitanti, con la chiusura negli anni duemila degli impianti siderurgici a caldo di Cornigliano, la crisi degli stabilimenti industriali e dei cantieri navali… consegnando al presente una città da reinventare, una sfida aperta, ancora tutta da giocare.

Claudia Baghino

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