Erano trascorsi due anni dalla marcia su Roma e il Fascismo stava per entrare prepotentemente nella storia del calcio genovese. La situazione politica in Italia dopo l’ultimo scudetto vinto dal Genoa nel 1924 (vai all’articolo precedente) era sempre più “nera”. Genova, vertice del triangolo industriale e primo porto d’Italia, entra in una fase cruciale della sua storia. Se da una parte tanti genovesi riusciranno a trarre vantaggi economici o a trovare impiego grazie alla tessera del partito, non sono pochi coloro che si trovano nella situazione opposta. Fra questi il presidente doriano Zaccaria Oberti (vai all’articolo sulla fondazione dell’Andrea Doria), repubblicano, massone e antifascista, non può che annusare la situazione di pericolo per i propri affari e la propria famiglia, tanto che nel 1926 deciderà di abbandonare Genova e l’Italia per trasferirsi in Francia senza più fare ritorno. L’Andrea Doria, la sua creatura sportiva, a quel tempo quarta squadra in Italia per numero di partecipazioni alla massima serie e orgoglio di tanti genovesi, non è vista con particolare simpatia dal regime che mese dopo mese sta entrando sempre di più negli affari del pallone conscio del potere mediatico che il calcio esercita sulle masse.
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La Sampierdarenese, al contrario, è tenuta in maggiore considerazione dalle camicie nere vicine alla Federazione. Nel 1926 il Comune entrerà a far parte della Grande Genova (qui l’approfondimento storico) e il calcio è un ottimo strumento di propaganda per favorire l’integrazione a livello sociale (ma per utilizzarlo a proprio favore, si sa, bisogna essere navigati conoscitori, come si suol dire, uomini di calcio… o il rischio di ottenere l’effetto contrario è dietro l’angolo, come si vedrà). Proprio in quei concitati mesi in cui verranno ridisegnati dal regime i confini cittadini, i militanti inizieranno ad avvicinarsi al club rossonero. Il Genoa ovviamente non si tocca. È la squadra più titolata d’Italia, quella che vanta il maggior numero di partecipazioni al campionato e pazienza per la macchia inglese che conserva nel dna. A partire dal 1928 si chiamerà Genova 1893 “Circolo del Calcio”, e tutti d’accordo. Del passato straniero dimentichiamocene in fretta.
Il decimo scudetto “rubato” al Genoa nel 1925
Ma torniamo all’autunno del 1924, alla Genova rossoblu fresca del nono campionato e pronta a giocarsi la nuova stagione con il tricolore sul petto. L’inizio fu roboante, dopo tre giornate 9 gol fatti e De Prà imbattuto. Contro il pronostico il Genoa cadde in trasferta alla quarta giornata contro l’agguerrito Modena che si confermò squadra rivelazione e rimase in testa al girone fino alla fine. Venne riacciuffato e superato dal Genoa al quale erano rimaste tre partite da recuperare: tre vittorie su tre e qualificazione alla finale nord contro il Bologna vittorioso del girone B a conferma della definitiva ascesa del calcio emiliano all’altezza delle grandi. Dopo la tiratissima finale nord dell’anno precedente, per i felsinei è vera e propria rivincita. Dietro alla forte compagine bolognese c’è l’ombra, tutt’altro che nascosta, del membro del Partito Nazionale Fascista Leandro Arpinati. L’uomo del Duce non ha nessuna intenzione di lasciare nuovamente lo scudetto al Genoa e si renderà protagonista di quello che per i genoani (e non solo) è il furto più clamoroso della storia del calcio italiano. Diciamolo subito, il Bologna è forte, ma il Genoa non parte certo per vinto. L’undici è quello di sempre, unica differenza Alberti (bolognese di nascita) al posto di Sardi. Ricostruiamo quanto accaduto grazie alla cronaca dell’epoca a cura di Renzo Bidone. L’andata è disputata il 24 maggio a Bologna e dopo dieci minuti proprio Alberti fa centro e porta avanti il Genoa che resiste per tutta la partita ai furibondi contrattacchi felsinei per poi punire in contropiede e piazzare il raddoppio con Catto. Bologna è furiosa. La stella Schiavio riesce al ’90 ad accorciare le distanze, 1 a 2. Il ritorno a Marassi va in scena la domenica successiva e il clima pare sin da subito troppo festoso. Ai campioni in carica basta il pareggio e la vittoria sembra alla portata, ma il Bologna gira a mille e passa in vantaggio. Il Genoa fatica e riesce a strappare il pareggio a un quarto d’ora dalla fine con il bomber Santamaria. Marassi è pronto a festeggiare, ma gli avversari bucano De Prà di testa prima del triplice fischio, 1 a 2 e tutto da rifare.
La finalissima venne programmata a Milano per il 7 giugno, stadio stracolmo, il pubblico che non aveva trovato posto a sedere era ammassato a bordo campo. Un match gagliardo che alla fine del primo tempo vedeva il Genoa in vantaggio per 2 a 0. Quanto accadde nel secondo tempo venne raccontato anni dopo dallo stesso De Prà: «[…] Il fattaccio avvenne nella ripresa, il Bologna aveva già accorciato le distanze. Fuga di Muzzioli, ala sinistra del Bologna, con tiro finale da pochi metri, che riuscii appena a deviare in angolo. Fischio di Mauro, il migliore arbitro di allora, che accordò al Bologna il calcio d’angolo…» Fin qui tutto normale, se non fosse che quel corner, come per magia, diventa gol (De Prà lo ricorda come il gol del pareggio, in realtà si tratta del gol del 2 a 1 come riportano le cronache dell’epoca): «Il pubblico che era assiepato anche dentro il recinto di gioco, appena dietro alle righe, a questo punto invase il campo. Del pubblico faceva parte qualche pezzo grosso della Federazione, quale Arpinati, alla testa dei tifosi bolognesi e l’arbitro Mauro, sbalottato e minacciato, dopo una lunga quanto inutile discussione, concesse la rete per sedare il tumulto». La cronaca pubblicata su La Stampa parla addirittura di intervento diretto del pubblico nell’azione “il pallone andò a urtare nelle gambe degli spettatori […] non andò fuori di gioco come avrebbe fatto se il campo fosse stato sgombro”, la Gazzetta dello Sport sostiene che la rete della porta fosse “smossa e strappata”. Sta di fatto che da quel momento la partita cambia, il Bologna riprende fiducia e segna altri due gol, il primo convalidato (De Vecchi in prima persona anni dopo scrisse che l’azione fu viziata da un fallo netto) e il terzo annullato per carica su De Prà. La partita finisce 2 a 2. Il Genoa è indignato e si rifiuta di scendere in campo per giocare i tempi supplementari (secondo la ricostruzione di De Prà, la squadra aveva ricevuto dall’arbitro garanzia di vittoria sul campo con chiusura del match prima del gol fantasma). Se non quella sul campo, la vittoria a tavolino per quanto accaduto sotto gli occhi di tutti sembrava scontata, invece arrivò la decisione di ripetere l’incontro che fino a quel momento si era svolto regolarmente. La quarta finale venne programmata a Torino il 5 luglio e terminò 1 a 1. Alla stazione di Porta Nuova i sostenitori bolognesi fanno addirittura partire colpi di pistola contro i tifosi genoani assiepati al binario ferendone due. Per il Genoa questo è ovviamente troppo. Il club si rifiuta di prestare il fianco e decide di non disputare la quinta finale. Viene costretto a farlo dalle pressioni della Federazione un mese dopo, in piena estate, con i giocatori fermi da settimane senza allenamenti sulle gambe. Qualcuno sostiene che a Bologna sanno tutto in anticipo e che la formazione bolognese si presenta a Milano in perfetta forma la mattina alle 7 a porte chiuse in uno stadio di periferia (location mantenuta segreta fino all’ultimo per evitare la presenza di tifosi). Questa volta il clima in campo è assolutamente disteso. Qualunque sia la verità sulla preparazione fisica dei bolognesi, quel match lo vinceranno meritatamente 2 a 0. Per la gioia di Leandro Arpinati che in poco più di un anno arriverà senza ostacoli sino alla presidenza della FIGC. Il regime aveva ora il pieno controllo del calcio.
La stagione successiva l’undici genoano inizia a risentire dell’età media e soffre le formazioni più giovani chiudendo terzo il suo girone senza riuscire a lottare per il primato. Riuscirà a rifarsi l’anno dopo, stagione 1926/1927 (il primo campionato in Italia a carattere nazionale senza la divisione nord e sud chiamato “Divisione Nazionale”), questa volta il terzo posto vale il mini torneo finale a sei squadre, dove però gli uomini di Garbutt non riescono a tenere il passo degli avversari. Si chiude qui il ciclo d’oro del “mister” lungo undici stagioni, le strade dell’amato allenatore inglese e del Genoa si separano. Ma sarà solo un arrivederci.
Lo scioglimento imposto dal regime all’Andrea Doria e la nascita de La Dominante. Il Genoa di Levratto sfiora lo scudetto
Andrea Doria e Sampierdarenese nel 1924/1925 e nel 1925/1926 erano entrambe riuscite a chiudere i gironi a metà classifica senza quasi mai rischiare la retrocessione. Nel 1926/1927, invece, la Sampierdarenese torna ad infiammare Villa Scassi per l’ultima volta e non solo perché dalla stagione successiva il regime metterà le mani sul club dando vita a La Dominante (questo i tifosi ancora non lo sanno), ma anche perché il nuovo piano regolatore della Grande Genova prevede lo sbancamento del colle di San Benigno e la realizzazione di via Cantore con il conseguente addio alla “scatola di pillole” che ormai è notizia certa ed è solo questione di attendere l’annuncio ufficiale. I Lupi disputano un ottimo girone dove spiccano le due storiche vittorie con il Milan (alla prima giornata nel gremito San Siro nuovo di zecca e al ritorno in casa) e nel derby casalingo con la Doria per 3 a 0. Un rendimento che la porta a giocarsi la storica qualificazione a quattro giornate dal termine. Fu fatale nuovamente lo stadio di Cremona (vedi l’articolo precedente), contro i non irresistibili grigiorossi affamati di punti salvezza, un 4 a 0 che spezza la rincorsa di Carzino e compagni.
Ormai orfana dello storico presidente e guidata dal successore Enrico Corzetto, il 1926/1927 è l’ultimo campionato dell’Andrea Doria, protagonista di una salvezza sudata e strappata con orgoglio alla penultima giornata contro la Fortitudo Pro Roma. I biancoblu riescono a battere 1 a 0 i romani al Nazionale di Roma con lo storico gol di Poggi (l’ultimo prima dello scioglimento del club) e superano in classifica al fotofinish la Cremonese conquistando sul campo il diritto a partecipare al 23esimo campionato di prima categoria della sua quasi trentennale storia. La gioia durò poco. Quella stessa estate si decise a tavolino che per Genova tre squadre sarebbero state troppe e per Roma, dopo la disastrosa retrocessione della Fortitudo, una sola non sarebbe stata abbastanza. Bisognava liberare un posto per l’AS Roma fresca di fondazione (verrà affidata a mister Garbutt). E si compì così la seconda infamia fascista inflitta alla Genova calcistica dopo la vergogna dello scudetto del 1925. Fu il capo della XXVI Legione della Milizia Fascista, Giorgio Molfino (ironia della sorte, di dichiarata fede genoana) l’esecutore dell’operazione. Fu lui stesso a recapitare ai vertici doriani l’ordine irrevocabile di fusione con la Sampierdarenese o, per dirla meglio, “fatevi da parte, grazie”. Nei piani del Molfino la Sampierdarenese si sarebbe chiamata La Dominante di lì a pochi giorni e avrebbe continuato a giocare a Villa Scassi ancora per qualche mese in attesa dell’inaugurazione del nuovo Stadio del Littorio nella vicina Cornigliano. Di voi, cari doriani, non c’è più bisogno. Il tutto venne sistemato in una notte. L’ormai ex segretario doriano Silvestri e il presidente del Genoa Sanguineti siglano un accordo in gran segreto che deve solo essere messo in pratica. Demolizione della storica costruzione che divide la Cajenna dallo stadio del Genoa e cessione del campo doriano al club rossoblu per ventimilalire più il giovane portiere Bacigalupo. All’alba la sezione calcio dell’Andrea Doria non esisterà più e il “traditore” Silvestri verrà assunto come dirigente dai rossoblu. Il Genoa seppe così approfittare della situazione favorevole. In un colpo solo si era liberato della storica rivale e del suo indesiderato campo che frenava le ambizioni di ingrandimento dello stadio di Marassi. Proprio dove sorgeva la Cajenna, infatti, sarebbe stata costruita nel 1929 la Gradinata Nord che diventerà a partire dal dopoguerra il cuore della tifoseria rossoblu.
Per la stagione 1927/1928 “La Dominante” viene annunciata in pompa magna dal regime come nuova rappresentante della Grande Genova e nuova rivale dei genoani. Sfoggia una divisa completamente nera con colletto bianco (che diventerà verde dopo la soppressione della Corniglianese) e il grifone sul petto affiancato dal fascio littorio. Per la prima volta l’animale mitologico simbolo di Genova, che verrà cucito sulle maglie del Genoa dieci anni più tardi, compare su una maglia di calcio cittadina. La Dominante avrà presto uno stadio tutto suo, il Littorio di Cornigliano, inaugurato dalla nuova compagine di lì a pochi mesi; si trovava in via Giovanni D’Acri con accesso in via Bigliati e poteva ospitare ben 15000 spetattori comodamente seduti nelle tribune dotate di vetrate e con copertura in legno. Pur senza una solida base finanziaria, si voleva pensare in grande, la nuova squadra in maglia nera poteva contare sui migliori calciatori della Sampierdarenese e su alcuni innesti lasciati liberi dall’Andrea Doria. Ma i poco esperti politici prestati al pallone davano per scontato un aspetto fondamentale: doriani e sampierdarenesi, privati della loro squadra, seguiranno la nuova. E invece la creatura calcistica del regime è letteralmente ripudiata dai doriani e se non si può dire lo stesso dei sampierdarenesi (che dall’oggi al domani se la ritrovano in casa a calcare il terreno di Villa Scassi), poco ci manca. Restia a rinunciare alla propria identità indipendente, l’appassionata tifoseria rossonera non si riconosce nella nuova squadra genovese e non accorre in massa al campo. Dopo le prime apparizioni, che quantomeno destarono curiosità, anche Sampierdarena abbandona La Dominante al suo destino. Il trasferimento al Littorio di Cornigliano non migliorerà la situazione, le delegazioni ponentine non rispondono alla chiamata. Gli unici tifosi affezionati sono i condomini dei palazzi intorno al Littorio che la domenica si godono la partita dai poggioli, ma le tribune faticano a riempirsi. I risultati sportivi sono la logica conseguenza. Penultimo posto in classifica e campionato d’esordio da incubo con 10 sconfitte e solo 4 vittorie che condanna immediatamente i neri alla retrocessione.
Ora, come non accadeva dal lontano 1902, Genova è solo rossoblu. Il nuovo Genoa, con il presidente Ardissone che succede a Sanguineti (a metà stagione cambierà denominazione per imposizione del regime e inizierà a chiamarsi ufficialmente Genova 1893 Circolo del Calcio), parte orfano di Garbutt (sostituito dal capitano di mille battaglie De Vecchi nel ruolo di giocatore-allenatore) e vede l’ascesa nell’undici titolare del centrattacco Virgilio Felice Levratto (autore di ben venti reti) al posto del grande Santamaria. I rossoblu si confermano ancora fra i più forti d’Italia e conquistano il secondo posto alle spalle del Torino qualificandosi per il mini torneo finale a sei squadre. Il Genova 1893 (che ovviamente noi continueremo a chiamare Genoa) offre prestazioni esaltanti in casa davanti al pubblico di Marassi, ma non riesce a tenere il passo in trasferta (fatali le due partite a Torino perse malamente contro i granata e la Juventus) e alla fine chiude al secondo posto a soli 2 punti dal decimo scudetto.
In Federazione si assiste alla rivoluzione di Arpinati volta alla creazione a partire dalla stagione successiva della moderna divisione dei campionati in Serie A e Serie B a girone unico. La riorganizzazione favorisce La Dominante che viene ripescata. La società di nero vestita prova a rinforzarsi e si presenta ai nastri di partenza con un undici di tutto rispetto e con le carte in regola per giocarsi la difficile salvezza (saranno ben 14, 7 per girone, a retrocedere per fare spazio al girone unico). Il copione non cambia, abbandonata da genovesi e sampierdarenesi al suo destino, La Dominante fa meglio dell’anno precedente ma non abbastanza per evitare la retrocessione che si consuma inesorabile nell’indifferenza generale. Per il Genoa, concluso il girone al quarto posto fuori dalla lotta per il vertice, arriva la storica, anche se fortunosa in quanto decisa da una monetina, qualificazione alla prima edizione della Mitropa Cup meglio detta Coppa Europa. Per l’Italia sono due i biglietti disponibili, andranno in premio alle vincitrici degli “spareggi europa” fra le seconde classificate dei gironi (non le prime in quanto la coppa si sarebbe sovrapposta alla finale per il titolo) e le due più meritevoli per blasone scelte dalla Federazione (sul Genoa pochi dubbi, l’altra è l’Inter a scapito della ben più titolata Pro Vercelli). Lo spareggio di qualificazione Genoa – Milan finisce in doppia parità, ma la sorte al lancio della moneta sorride ai rossoblu. Genoa e Juventus sono così le prime due squadre di Italia a giocarsi una coppa europea. Tuttavia l’esordio europeo non è di quelli da ricordare. A Vienna il Genoa viene travolto 5 a 1 dalla corazzata del Rapid e a poco vale il pareggio a reti inviolate sul terreno di Marassi. La qualificazione va agli austriaci.
Il primo campionato di Serie A 1929/1930 è destinato a riempire gli stadi e a confermare una volta per tutte la smisurata passione degli italiani per il calcio. Genova è rappresentata ovviamente dal Genoa che in sede di mercato affianca a Levratto il bomber ex Alessandria Banchero, mentre La Dominante si iscrive alla serie B. Il Genoa parte forte e fa paura alle avversarie. Scivola solo a Modena e a Roma e in casa cede il passo esclusivamente contro la fortissima Inter di Meazza, ma la marcia è entusiasmante e il popolo genoano torna ad annusare per l’ennesima volta la vittoria del decimo scudetto. A tre giornate dalla fine lo scontro diretto Inter – Genoa puà decidere il campionato. Ai rossolu manca De Prà, fra i pali c’è il giovane Bacigalupo strappato alla Doria. Il piccolo stadio di via Goldoni a Milano sede delle partite casalinghe dell’Ambrosiana Inter è stracolmo e le tribune cedono poco prima del fischio d’inizio. Nessuna vittima, parecchi i feriti, tuttavia il fattaccio non intenerisce il direttore di gara, si gioca lo stesso. La partita è tiratissima e ben giocata da entrambe le parti. Sul risultato di 3 a 3 a pochi minuti dalla fine viene concesso un calcio di rigore ai rossoblu. Non sarà un rigore qualunque, è un penalty storico per i genoani. Il nuovo acquisto Banchero, dopo una breve discussione con Levratto (già autore di una doppietta) su chi dei due sarà il tiratore, va sul dischetto e calcia fuori davanti agli sbeffeggi del pubblico interista letteralmente ammassato dietro la porta. Quel pallone, a dir poco pesante, avrebbe potuto laureare il Genoa campione per la decima volta.
In Serie B La Dominante parte con i favori del pronostico, la squadra è attrezzata per puntare alla pronta risalita e davanti al poco pubblico del Littorio riesce a confermare le aspettative rendendosi protagonista di un ottimo campionato in cui, però, la promozione sfugge di pochi punti. Il terzo posto finale non basta.
Il grande colpo Guglielmo Stabile, il nuovo stadio “Luigi Ferraris” per il quarantennale del Genoa e la prima retrocessione in B
L’estate del 1930 è quella del primo Mundial della storia a Montevideo. Il capocannoniere di quella storica manifestazione è il bomber argentino Guglielmo Stabile. Sanguineti, tornato al centro del direttivo rossoblu, vuole vincere e, dopo aver ingaggiato l’allenatore ungherese Székany, punta tutto proprio sull’esotico campione eroe del Mundial per affiancarlo a Levratto e Banchero. Chiusa con un ricco assegno la trattativa con l’Huracan, Stabile arriva a Barcellona in viaggio di nozze nel novembre del 1930 e Sanguineti se lo va letteralmente a prendere nella città spagnola. Il ritorno a Genova in nave è un evento memorabile. Il campione è atteso a Ponte dei Mille da migliaia di tifosi rossoblu in festa, è il primo caso mediatico di febbre da calciomercato. L’esordio del bomber è da favola, tripletta in casa contro il Bologna a due giorni dallo sbarco in città. Tripudio a Marassi. “El Filtrador”, come lo chiamavano in Argentina, gioca un ottimo campionato e incanta i genoani con giocate di livello assoluto prima di distruggersi il ginocchio in uno scontro con il portiere avversario. Rientrerà solo dopo un anno di riabilitazione. In quella squadra Stabile non è l’unico acquisto sudamericano di Sanguineti, con lui spicca Giovanni Pratto (prelevato anch’egli dall’Huracan) anch’egli autore di straordinarie prestazioni che però non bastano al Genoa per trionfare. Chiuderà la stagione al quarto posto a otto punti dalla Juventus campione e non sarà in grado di competere per le posizioni di vertice nei tre anni successivi chiudendo a metà classifica nel 1931/1932 e nel 1932/1933.
Il 1933 sarà ricordato non tanto per l’ottavo posto in campionato ottenuto dall’ex allenatore della Sampierdarenese Rumbold, ma soprattutto per la grande festa genoana del primo gennaio al “Luigi Ferraris” (fresco d’intitolazione proprio in quell’occasione) per il quarantennale del club a cui parteciparono più di 20000 persone e a cui si unirono quasi tutti i giornali dell’epoca, locali e nazionali, con pubblicazioni dedicate al Genoa pioniere del calcio italiano. Lo stadio era ormai completamente rinnovato (i primi progetti esaminati dal consiglio direttivo rossoblu risalivano al 1927 e la Gradinata Nord, alta 13 metri, era già stata realizzata nel 1929), con la costruzione della Gradinata Sud e della copertura in cemento della nuova tribuna la capienza raggiungeva ora cifre di tutto rispetto. Le due gradinate potevano ospitare 25000 persone e la tribuna oltre i 5000, a cui bisognava aggiungere il lato est, corrispondente all’attuale settore “Distinti”, dove ancora sorgeva la vecchia gradinata alta pochi metri stretta fra il campo e la Villa Piantelli. Gli sforzi del club vennero ripagati l’anno seguente in termini economici con l’acquisizione dell’impianto da parte del Comune, lo stesso non si può dire dal punto di vista sportivo. Nonostante le aspettative della piazza, il campionato successivo il Genoa conoscerà il punto più basso dei suoi gloriosi quarantanni e arriverà addirittura la prima storica retrocessione in Serie B.
La fine ingloriosa de La Dominante
A Sampierdarena, per rimediare al disastro sportivo e ritentare la risalita in massima serie, i dirigenti-politici partoriscono per la stagione 1930/1931 l’ennesima trovata e architettano una nuova fusione forzata. Lo scopo è quello di attirare il pubblico delle delegazioni del Ponente genovese e provare a risalire la china. Lo stratagemma prevede la fusione de La Dominante con Sestrese e Rivarolese (la Corniglianese già era stata assorbita) e una nuova denominazione per provare a cancellare la disfatta. Nasce così il Liguria FBC, nome preso in prestito dalla storica compagine sampierdarenese (vai al primo articolo della Storia del calcio a Genova), un ibrido che per attirare nuovamente le simpatie dei vecchi Lupi di Villa Scassi, vestirà di rossonero, maglia a strisce verticali con fascio littorio sempre ben in vista. L’esperimento andrà, se possibile, anche peggio di quello de La Dominante. Il campionato di Serie B 1930/1931 il neonato Liguria non riuscirà nemmeno a completarlo. La squadra non si presenterà in campo per gli ultimi incontri al Littorio a causa dell’impossibilità di sostenere le spese minime. È il peggiore degli epiloghi: la Serie C. In poco più di tre anni il sacrificio indegno dell’Andrea Doria e l’arroganza contro il popolo di Sampierdarena privato del proprio scudo si era rivelato un autentico fallimento su tutti i fronti, economico, sportivo e sociale. Conti in rosso, tre retrocessioni dal massimo campionato alla Serie C e stadio deserto.
A quel punto, e più in basso di così non si poteva cadere, i dirigenti fascisti tornano con la coda fra le gambe da Luigi Cornetto e gli chiedono di riprendere in mano le sorti del club. Cornetto accetta (non che potesse rifiutarsi, ovviamente, era un ordine), ma chiede in cambio oltre al ripristino della vecchia dirigenza anche un particolare non da poco: la squadra deve tornare a chiamarsi Sampierdarenese. O si o si. E così fu.
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