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Genoa e Doria, alle origini del derby di Genova: le grandi sfide di inizio Novecento

Un viaggio agli albori della rivalità cittadina fra genoani e doriani. Le sfide epiche fra Ponte Carrega, San Gottardo e la “Cajenna”, lo storico campo della Doria accanto alle carceri di Marassi e l'esordio della nazionale italiana capitanata dal doriano Calì
Derby Genoa Andrea Doria del 1926
Il derby Genoa – Andrea Doria, qui in una foto più recente datata 1926

Il 1905 del calcio genovese si apre con un memorabile ed infuocato triplice derby fra Genoa e Doria. I giornali iniziano a dare più spazio al football cittadino e i genovesi iniziano ad andare “al campo” sempre più numerosi. Non si chiamano ancora tifosi, ma possiamo già chiamarli genoani e doriani (vai all’articolo precedente sulla storia del calcio a Genova). È il 5 febbraio 1905, Genoa e Doria si giocano il girone ligure del campionato e danno vita ad un derby tiratissimo, finito a reti inviolate. Gianni Brera, grande giornalista di nota simpatia genoana, lo descrive così: “I campioni in carica sono dapprima stupiti e poi anche piccati: i doriani giocano digrignando e il loro portiere rimane imbattuto. Sette giorni dopo, tocca ai doriani di ospitare i campioni e l’incontro finisce di nuovo in pareggio, però almeno si segna un gol per parte. I giornali parteggiano secondo simpatia e convenienza di tiratura. Il “Caffaro” arriva ad augurarsi che i giocatori non prendano parte alle contese del pubblico. L’accenno “a qualche screzio” non depone bene per il futuro dei derby cittadini […] Ma intanto il Genoa deve tirarsi il collo per avere la meglio sui rivali cittadini guidati da Francesco Calì: soltanto al terzo incontro, giocato il 19 febbraio, la difesa imperniata su Spensley riesce a cavarsela senza danno: per contro il poderoso centromediano Senft arriva a colpire di pieno collo una palla che giustizia – è la parola – il malcapitato portiere avversario”. L’articolo in questione citato da Brera non lascia spazio ad equivoci: “Preghiamo i signori spettatori di non aizzare i giocatori onde non dover assistere ad un match brutale e scorretto”. Insomma, a bordo campo non se le mandano a dire. E ancora: “Sarebbe desiderabile che i giocatori durante la partita restassero estranei ai commenti del pubblico”. Uno a zero, il Genoa ancora una volta si impone in città e fa valere forza ed esperienza, ma lo squadrone del medico inglese inizia a dare segnali di vulnerabilità (pochi mesi dopo il Genoa perderà momentaneamente la coppa Dapples, costretto a cederla per la seconda volta ai rivali doriani). Un mese più tardi nel girone finale del campionato, che da nuovo regolamento non prevedeva più la finale secca, il Genoa non riuscirà ad andare oltre il pareggio con la Juve e, a sorpresa, non riuscirà a battere la US Milanese che dopo un ottimo girone eliminatorio aveva perso contro la Juventus in un doppio incontro andata e ritorno senza storia. L’inaspettato passo falso dei campioni contro i milanesi consegna di fatto il primo titolo alla Juventus e alla città di Torino. “Qualche elemento in rossoblu è decisamente passato – scrive Brera nel suo “Caro vecchio balordo” – il dottor Spensley, in porta, centellina gli interventi non avendo più cuore di tuffarsi. Un tempo irrideva ai volatori saltimbanchi: però, se l’occasione lo esigeva, sapeva tuffarsi in bello stile. Adesso rimedia con il senso di posizione”.

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Ai nastri di partenza del campionato FIF del 1906 si presentano le stesse cinque squadre dell’anno precedente. A Torino le progenitrici del club granata sono in crisi e si presenta solo la Juventus campione. A Milano il Milan e la US Milanese e a Genova il Genoa e la Doria. Eppure le compagini iscritte alla Federazione adesso sono 15 e in Italia le squadre di calcio sono ormai parecchie. La maggior parte di queste partecipa a tornei e coppe varie che vengono messe in palio in giro per lo stivale e ai campionati della Federazione Ginnastica, dominati in questi primi anni del secolo da Milan campione dal 1904 al 1907. Nel frattempo il derby valido per l’eliminatoria ligure del campionato FIF vede ancora il Genoa imporsi sull’Andrea Doria per 3 a 1 in casa e 0 a 1 sul campo di Cornigliano. Ancora una volta per i doriani non c’è verso di avere la meglio sui rivali cittadini in campionato. La supremazia rossoblu resiste e quest’anno sembra nuovamente indiscussa. La truppa genoana è rinvigorita dalla vittoria nel derby, ma la fase finale non è all’altezza delle aspettative. Pasteur, ormai riferimento assoluto e tuttofare dei rossoblu, ricorderà negli anni sessanta quelle partite, come si legge su “Football 1898-1908: l’età dei pionieri”, pubblicato in occasione della mostra curata dalla Fondazione Genoa 1893: «Nella finale del 1906, a Torino, la partita venne sospesa nel secondo tempo per rissa tra i giocatori e parte del pubblico. Venne ripetuta la domenica successiva sul campo neutro del Milan. Ricordo che il sabato dovetti girare tutta la città, come un matto, per trovare undici giovanotti disposti a giocare la partita e che avessero i soldi per il treno. Anzi, in occasione della seconda finale a Milano non riuscii a trovarne più di nove e così completai la formazione con due giovanotti di passaggio per la strada e che non avevano mai giocato il calcio. Questo fu uno dei motivi per cui il Genoa perse a Milano per rinuncia» . Il riferimento è allo zero a due a tavolino contro la Juventus e il successivo stesso punteggio contro il Milan dell’8 aprile 1906. Il Genoa incerottato e lontano dalla forza e dall’organizzazione degli anni precedenti riuscì comunque a strappare il pareggio in casa contro entrambe le squadre. La delusione in campionato e la sconfitta per rinuncia è il momento più basso della fino a qui già decennale storia calcistica del Genoa. Momento nero che culminerà l’anno successivo con la perdita del primato cittadino.

1907/1908: l’Andrea Doria conquista il primato cittadino, Spensley è il nuovo allenatore doriano

Il derby andata e ritorno del 1907 valido come eliminatoria ligure e giocato fra San Gottardo e Ponte Carrega vede trionfare l’Andrea Doria 3 a 1 dopo il pareggio in casa rossoblu (match che segna l’esordio di un certo Luigi Ferraris fra le fila genoane). Un risultato che manda al settimo cielo la società doriana, dopo anni di sconfitte in territorio genovese intervallate da qualche rara soddisfazione, erano finalmente riusciti ad eliminare il Genoa dal campionato, conquistare il primato cittadino e la possibilità di giocarsi la fase finale. Il capitano e condottiero Franz Calì è il primo marcatore dello storico match, ciliegina sulla torta per la compagine genovese. Alla fase finale accedono oltre alla Doria anche il Milan e il Torino, alla sua prima partecipazione, dopo lo scioglimento delle progenitrici. Per i doriani, il cui undici è quasi interamente composto da genovesi e quindi nettamente sfavorito contro i tanti stranieri degli avversari, gagliardo il pareggio in casa contro il Toro che, di fatto, decide il campionato a favore dei rossoneri di Milano (che strapazzano la truppa di Calì cinque a zero all’andata e due a zero al ritorno).

Siamo nel 1908 e le acque in Federazione sono agitate. Nonostante la crescita del fenomeno football in Italia, qualcuno pensa che le squadre italiane che partecipano al campionato potrebbero essere di più e che l’ostacolo oltre che economico è soprattutto tecnico. Troppo divario con gli stranieri, inglesi e svizzeri su tutti. In molti additano il campionato sbandierato per italiano come una sfilata di stranieri dalle qualità tecniche quantomeno invadenti. Le società ginnastiche ovviamente salgono sul carro e si uniscono al coro di sdegno. Già sul finire dell’anno precedente il presidente della Doria, Zaccaria Oberti, aveva proposto alla Federazione di spedire i cugini inglesi e i loro compagni di merende milanesi e torinesi in un campionato a parte. Nello specifico il tutt’altro che disinteressato uomo della Doria propose alla Federazione di creare due campionati paralleli, uno esclusivamente italiano e uno federale aperto anche agli stranieri sia per le squadre A che per le squadre B. La Federazione accetta la proposta e le grandi del football italico a folta partecipazione straniera, Genoa, Milan e Torino, disgustate da cotanta tracotanza, rifiutano in blocco l’iscrizione al nuovo campionato federale della FIF. La frittata è fatta. Ad approfittarne sarà la storica Pro Vercelli, che vincerà il suo primo campionato italiano superando la Juventus e poi, nella fase finale, la Milanese e l’Andrea Doria.

James Spensley

La squadra biancoblu, iscritta ad entrambi i tornei e per il secondo anno di fila unica rappresentante genovese del campionato, si era presentata ai nastri di partenza con le più rosee aspettative e con un nuovo allenatore chiamato ad affiancare il condottiero Calì, un tal medico inglese che di nome fa… James Richardson Spensley! Il pioniere del calcio genovese (vai all’articolo sugli esordi del football a Genova) figura non senza sorpresa sulla panchina della Doria, pur restando socio del suo Genoa. Calcio d’altri tempi si dirà, certo, ma trattasi sicuramente di uno storico ed eclatante cambio di casacca da una sponda all’altra del Bisagno. L’Andrea Doria della coppia Spensley-Calì conclude il girone finale italiano con un solo punto, rimediato a Vercelli contro i futuri campioni. Nel campionato federale, invece, se la deve vedere con la Juventus (Doria e Juve risultarono le uniche iscritte) che prima fa passerella a Genova e poi, nel match di ritorno, capitola a sorpresa, i doriani la beffano per un gol a zero siglato dall’astro nascente Sardi. Si deve disputare la “bella” che, guarda a caso, si giocherà a Torino. Il primo round finisce 2 a 2, la Doria forte di una coppia di attacco di assoluto rispetto (il duo Sardi – Santamaria che farà molto discutere a Genova e non solo, vai all’articolo), capitola solo al quarto match. Questa sembra essere l’ultima impresa ufficiale di Spensley nel calcio genovese. Secondo alcune fonti avrebbe fatto ritorno in Inghilterra in più di un’occasione negli anni a venire, secondo altre rimane in pianta stabile a Genova sino alla partenza per il fronte come medico volontario. Sappiamo che seguirà la squadra B rossoblu ancora per qualche tempo, per poi uscire di scena (fatta accezione per una serie di amichevoli a tinte rossoblu del 1913 fra vecchie glorie britanniche e nuove leve italiane).

Il Genoa dei professionisti stranieri: primi passi verso il calcio del futuro

Luigi Ferraris

In casa Genoa, intanto, non si sta certo con le mani in mano. Le partite giocate nell’anno solare nonostante la mancata iscrizione al campionato sarebbero addirittura 27 fra squadra A e squadra B, amichevoli e soprattutto incontri validi per la Coppa Dapples che finalmente tornerà fra le mani dei rossoblu in pianta stabile e andrà a prendere posto in bacheca accanto alle prestigiose Duca degli Abruzzi e Fawcus. Il club rossoblu è conscio che per tornare a dominare deve rinforzarsi. E, in un epoca in cui la parola professionismo associata allo sport è quasi una bestemmia, i quadri genoani sono ancora una volta pionieri. Lo fanno in silenzio e sottobanco, ma per convincere il forte terzino inglese Hug e gli svizzeri Herzog e Hurni a sbarcare sulle sponde del Bisagno, il rossoblu Geo Davidson mette mano al borsello e Pasteur fa saggio uso delle sue conoscenze nel tessuto portuale e industriale genovese assicurando un buon impiego ai foresti. I tempi dell’italianizzazione (vai all’articolo successivo) non sono ancora maturi. Nella rosa rossoblu figurano anche calciatori italiani, su tutti il capitano Luigi Ferraris (che si ritirerà nel 1911), ma in casa Genoa sanno bene che il football non è ancora un’arte tricolore (proprio in seguito al serpeggiare di certe voci sul ”malcostume” di tirare fuori moneta per far approdare in Italia giocatori stranieri, la Federazione spinta dai club italiani di origine ginnasta con la Doria capobanda aveva inserito nel regolamento del campionato federale la libertà di gioco agli stranieri ma solo se residenti in Italia).

Per il campionato 1909, in cui la FIF (nel frattempo diventata ufficialmente FIGC) decise di ripetere la stessa formula, il Genoa cambiò strategia insieme alle corazzate Milan e Toro. Fatevi pure il campionato fra poveri italiani, noi grandi club questa volta partecipiamo in blocco al solo campionato federale. Nessuna squadra B o rosa italiana nel vostro torneo tricolore. Il football nobile, cara Federazione, si giocherà solo da questa parte. La mossa finì per dare ragione ai grandi club. Al campionato federale oltre Genoa, Milan e Torino si iscrivono l’Andrea Doria, l’Inter (neonata), la Milanese, la Juventus, la Pro Vercelli e il Venezia (fresco della vittoria del campionato della Federazione Ginnastica del 1908, successo bissato nel 1909, dopo quattro anni di dominio Milan). Dall’altra parte il campionato di soli italiani sarà un buco nell’acqua.

La “Cajenna”, lo storico campo dell’Andrea Doria teatro di storici derby con il Genoa

La “Cajenna” in una foto degli anni ’10 con accanto il campo del Genoa

In casa doriana il 1909 è l’anno di inaugurazione della “Cajenna”. Finalmente il vulcanico ed ambizioso presidente Oberti aveva trovato un campo di casa per i suoi giocatori. Si trovava a Marassi a pochi metri dal futuro Luigi Ferraris, parallelo all’ala sud delle carceri, con l’imponente muro di cinta del complesso carcerario che incombeva su pubblico e giocatori, proprio dove oggi sorge la Gradinata Nord del Genoa. La partita d’inaugurazione contro il Piemonte vede una Doria trionfante davanti agli occhi del pubblico ammassato in piedi lungo il perimetro del campo visto che il poco spazio a disposizione non permetteva la sistemazione di posti a sedere. Leggenda narra che il nome “Cajenna”, ispirato alla celebre città prigione della Guyana francese, derivi proprio dalla particolare sistemazione del pubblico che, stretto fra le reti e il muro delle carceri, rendeva l’ambiente particolarmente ostile per i giocatori ospiti.

L’Andrea Doria sul campo della “Cajenna”

Pochi giorni dopo l’inaugurazione, la Cajenna ospita l’andata del derby di Genova valido per le eliminatorie liguri del campionato. Il match ha il sapore della rivincita rossoblu dopo l’ultima storica vittoria doriana. Da ormai due anni il divario tecnico fra le due compagini non è più così ampio e in città l’evento non passa inosservato. Doriani e genoani salgono sui tram e vanno al campo carichi come sveglie. La partita è combattuta e finisce uno a uno con le reti del gioiellino Santamaria e del colosso svizzero Herzog. Tre settimane dopo si gioca il ritorno a San Gottardo e le squadre in campo se le danno di santa ragione. Tre a tre il risultato finale e i protagonisti sono ancora una volta i giocatori più rappresentativi. Per i rossoblu decidono i poderosi e sontuosi nuovi acquisti Hog (doppietta su rigore) e Herzog, per i doriani la solita coppia Sardi – Santamaria e il rigore della bandiera Calì. La “bella” viene giocata in campo neutro a Rivarolo e vede il definitivo trionfo del Genoa per due reti a uno grazie alla rete di Hurni (l’ultimo dei tre grandi acquisti che mancava alla festa del gol) e alla beffa di Francesco Ravano, il più classico dei gol dell’ex, lui che era da poco passato al Genoa dopo gli esordi in biancoblu. Doppia goduria per il pubblico genoano.

I rossoblu, eliminata la Doria, si giocano la semifinale con i campioni in carica della Pro Vercelli. Questa volta però la doppietta di capitan Hug all’andata e il sigillo di Hurni al ritorno non bastano, la rosa tutta italiana della Pro Vercelli passa di una sola lunghezza sui due incontri e si guadagna la finale (che vincerà contro la Milanese).

Il doriano Calì è il primo capitano della nazionale italiana

Franz Calì

Mentre il pesante pallone di cuoio rimbalza sui terreni di gioco, in Federazione proseguono i tumulti che porteranno sul finire del 1909 all’organizzazione del primo campionato italiano a girone unico ispirato al modello della prima divisione britannica. Niente più eliminatorie regionali, ogni squadra partecipante avrebbe incontrato le altre due volte, una in casa e una in trasferta. La simpatica Federazione decide di escludere il Veneto considerato non ancora all’altezza e gentilmente invitato a tornare a competere nei campionati di Ginnastica. Il campionato, diventato celebre per lo spareggio “fuffa” vinto dall’Inter contro la Pro Vercelli che per protesta contro la Federazione scende in campo con i ragazzini delle giovanili e si rende protagonista di innumerevoli autogol, vede un gagliardo Genoa classificarsi con 17 punti quarto su nove squadre e togliersi la soddisfazione alla penultima giornata di asfaltare 4 a 0 a San Gottardo la corazzata Inter che veniva da undici successi consecutivi. L’Andrea Doria dovrà invece accontentarsi di 11 punti che valgono il penultimo posto davanti al cucchiaio di legno Ausonia di Milano. La compagine doriana nel 1910 si consola vincendo il campionato della Federazione Ginnastica organizzato proprio a Genova, vittoria che ripeterà anche nel 1912 e 1913, ultimo anno di storia della competizione che si chiuderà con quattro titoli doriani, secondo posto nell’albo d’oro dietro al Milan cinque volte campione.

Al termine del primo campionato a girone, il mese di maggio del 1910 segna l’esordio assoluto della nazionale italiana di calcio. Il capitano di quella squadra e unico rappresentante della Genova calcistica è il doriano Franz Calì, passato alla storia come il primo capitano della nazionale italiana. La prima uscita è contro la Francia a Milano e, nonostante i più forti giocatori italiani che facevano parte della Pro Vercelli fossero stati squalificati dalla Federazione dopo aver disertato lo spareggio con l’Inter, arriva una vittoria netta per 6 reti a 2. Ben 4000 spettatori per un incasso record di 15000 lire che spinse la Federazione ad aprire addirittura il suo primo conto in banca. Erano tempi di vacche magre per il calcio, come raccontò lo stesso Calì in una intervista del 1932 pubblicata su “Genova Sport”. Ovviamente per i giocatori nessun compenso, in Italia era ancora eresia: «all’infuori di una medaglietta d’argento del peso di qualche grammo e astrazion fatta del rimborso del viaggio in terza classe». Due settimane dopo è in programma la seconda partita, trasferta a Budapest e sconfitta netta 6 a 1 davanti a 12000 spettatori. «Il lungo viaggio era stato tutto compiuto in seconda classe, lusso sconosciuto allora ai giocatori di calcio […] Mangiammo in vagone ristorante, la spesa non era preventivata ma un cambiamento di rotta l’aveva resa necessaria. Pattuimmo l’importo e raccomandammo vivamente una grande abbondanza di panetti perché, se mancavano i soldi, l’appetito era in compenso insaziabile […] In campo eravamo tutti emozionatissimi, Verasco lo era in modo tale che svenne. E ce ne volle, sa, per farlo rinvenire! […] Se mi ricordo la formazione? Sono nomi che non si dimenticano, scriva: De Simoni. Verasco, “mi”, Trerè […] Vuole un altro particolare? Ragioni economiche non permettevano allora alla Federazione la spesa rilevante delle maglie azzurre, erano semplicemente undici comunissime camicie bianche, quelle che avevamo indossato per dormire la notte precedente». Il rimborso fu di complessive 3500 lire per l’intera squadra e al ritorno niente vagone ristorante: «Chi ne fece le spese fu Trerè […] si era portato una valigia piena di vivande in scatole che il vagone ristorante del viaggio di andata aveva permesso di portare in salvo fino allora, ma che l’appetito formidabile del viaggio di ritorno aveva suggerito alla comitiva di far sparire, con desolazione del povero Trerè».

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A cura di Gabriele Serpe

Bibliografia:

  • “Genoa, doria, samp & dintorni: Genova Calcio”, autori vari
  • “Una storia biancorossonera: il calcio a Sampierdarena dal tempo dei pionieri del Liguria alla Sampdoria” di Gino Dellachà
  • “Caro vecchio balordo: la storia del Genoa dal 1893 a oggi” di Gianni Brera
  • “Ciao Genoa: cent’anni di storia rossoblu” di Edilio Pesce
  • “Football 1898-1908: l’età dei pionieri”, catalogo della mostra curata dalla Fondazione Genoa 1893
  • “Il derby infinito: curiosità, aneddoti, memorie, notizie e foto di 100 anni di Stracittadina della Lanterna” di Renzo Parodi

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