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Carignano, l’antico quartiere: Via Fieschi e Piazza Ponticello

La storia di Carignano, Via Fieschi e Piazza Ponticello, la Basilica e gli orti della Città Vecchia

Oggi è uno dei quartieri più eleganti della città come lo testimoniano gli edifici di pregio, le ombrose ville, le sue imponenti chiese, una collina che sale 50 metri sul livello del mare nel cuore della città: Carignano o Caignàn, come vi direbbe un genovese. Situata a ridosso della più antica cinta muraria, viene inglobata a Genova solo nel 1320, là dove tra orti, giardini e mistici chiostri conventuali si estendevano le vaste proprietà dei Sauli. Nel Medioevo la zona era denominata Caliniano o Calignano e fino al XIX secolo rimase poco più di un sobborgo a tal punto che gli abitanti dicevano “ana’ a Zena” per dire “scendere in centro”… Testimonianza di quel passato alcune strade come via delle Bernardine, detta “creuza da Gianetta” dal nome della proprietaria di una rinomata osteria o vico Fasce (quella zona della collina era coltivata a fasce) che si distende fra le case più datate del quartiere. In vico Fasce si riunivano i popolani per esercitarsi a “batte a moesca” (ballare la moresca), una danza in voga all’epoca, importata dalla Spagna dai Saraceni.

L’accesso naturale alla collina di Carignano è riconducibile all’attuale via Fieschi, un rettifilo in salita che conduceva al “top” dell’antica altura,  la cosiddetta “montagnola dei Servi”, spianata poi per far posto ad un’ampia area che ospita l’imponente basilica di Carignano. La via, fino al XIV secolo, era detta, appunto, “alla casa dei Fieschi” perché giungeva fino alla villa nobiliare di cui non vi è più traccia perché distrutta dai rivali Doria in seguito alla congiura ordita nel 1547. La dimora sorgeva nelle immediate vicinanze della chiesa di santa Maria Lata che, fino al 1547, era collegata, attraverso una maestosa scala di oltre cento gradini, con via dei Servi (sestiere della Maddalena) o raggiungibile attraverso una stretta strada fiancheggiata da muraglioni, “l’erta dei sassi” che si spingeva fino alla chiesa di Santa Margherita della Rocchetta (non più esistente e detta anche “monastero della Rocca” perché costruita sulle rocce del colle di Carignano) ubicata poco sopra quella che era la “barriera o cancello per cui entrasi alle Batterie di Carignano” dette anche batterie di Santa Margherita (in corrispondenza delle omonime  mura cinquecentesche  che andavano da Scalinata S. Margherita a Piazza Redoano) in prossimità di quella che era chiamata piazza della Cava (in corrispondenza dell’attuale incrocio fra via Rivoli e Corso Aurelio Saffi, qui si estraeva il materiale utile al prolungamento del molo).

VIA FIESCHI E PIAZZA PONTICELLO

L’attuale via Fieschi, invece, fu aperta solo nel 1868; terminava in Piazza Ponticello (oggi Piazza Dante) mentre l’ultimo tratto di collegamento con via XX Settembre è del 1934 in seguito al definitivo restyling del borgo dei Lanaiuoli. Era questo un quartiere che si estendeva da Piazza Ponticello  a via dei Servi e  fino alle Mura della Marina (Molo). Denominato inizialmente “Borgo dei Cardatori” prese il nome definitivo di Borgo dei Lanieri o dei Lanaiuoli per l’attività principale che qui era svolta perché, come dice un anonimo genovese “queli che sun d’un’arte stan quaxi insieme de tute parte” (quelli che fanno parte della stessa arte stanno per lo più nella stessa zona). Dell’antico quartiere, rimane solo un cenotafio degli imponenti trogoli ubicati in via dei Servi (attuale Parco delle Mura/Giardini Baltimora), accanto alla chiesa di Santa Maria, voluti dalla Repubblica Ligure, nel 1797, su progetto di Carlo Barabino e dedicati ai cittadini come ricorda un’antica scritta: “Libertà – Eguaglianza – Fraternità. Gli  edili della Repubblica  al popolo genovese”. I lavatoi, in stile neoclassico, erano alimentati da un pozzo perenne che attingeva le acque dal Rio Torbido che attraversava il borgo per sfociare nei pressi delle Mura della Marina e che, prendeva il nome dal colore cupo delle acque dovuto all’attività dei tintori…

In via Fieschi, sulla parte sinistra, ancora oggi, nascoste fra gli antichi palazzi, si notano scalinate e strette creuze (Salita S. Leonardo, Passo Fieschi) che portano alla chiesa di S. Maria di Via Lata, caratterizzata da una bellissima facciata a fasce bicrome, costruita nel 1336, in una zona indicata nelle mappe come “violario”,  la cui etimologia pare derivasse dal forte odore di viole del vicino orto botanico ubicato in casa Fieschi. La facciata gotica, monocuspidata, raggiunge un’altezza totale di circa 18 metri e presenta un rosone centrale in legno che sostituisce quello originale andato perduto. L’interno è costituito da 3 capriate in legno che ricoprono l’unica navata la quale termina in un’abside a forma quadrata sormontata da una volta a crociera. Tra i locali annessi alla chiesa, isolata sopra l’abside, si trova una stanza che viene chiamata di Santa Caterina Fieschi Adorno e, sul retro, due graziosi giardini. Dopo la congiura dei Fieschi, l’edificio religioso conobbe anni bui fino ad essere sconsacrato e ridotto a falegnameria (1858), per poi tornare alla sua funzione d’origine grazie alla confraternita di Sant’Antonio Abate nel 1911. Danneggiata gravemente dal  bombardamento inglese su Genova del 7 e 8 agosto 1943,  fu restaurata, solo, nel 1981. Ma più che per le sue opere artistiche questa chiesa è famosa per essere stata l’oggetto dello sgarbo tra nobili dame che avrebbe dato il via al progetto per la costruzione dell’attuale basilica di Carignano. Si narra che la moglie di Bandinello Sauli solesse andare a messa nella chiesa di S.Maria Lata. Una mattina, essendo in ritardo, mandò una servetta a chiedere di ritardare la funzione di qualche minuto ma la matrona dei Fieschi, avvalendosi del diritto di proprietà sull’edificio, non solo ordinò che si incominciasse l’uffizio ma mandò a dire alla mittente: ”chi vuol dei comodi se li procuri a sue spese”. Fu così che l’oltraggiata signora impose al marito di costruire immediatamente un’imponente basilica che, dall’alto, ricordasse ogni giorno la potenza e nobiltà dei Sauli. Le cose non andarono proprio così visto che Bandinello dispose un lascito nel 1481, ma la prima pietra fu posta il 10 marzo del 1552, la cupola fu terminata nel 1603 e la parte esterna fu completata nel 1890. Inoltre, da allora, si sono susseguiti perenni lavori di restauro… proprio per questo motivo a Genova si usa dire “…a l’è comme a Fabbrica de Caignan” (…è come il cantiere di Carignano) per indicare una cosa lunga, che non finisce mai.

LA BASILICA DI CARIGNANO

La basilica è dedicata a Santa Maria Assunta e fu progettata da Galeazzo Alessi; l’edificio si presenta imponente con decorazioni in pietra di Finale e si distingue per la forza architettonica e per lo stile rinascimentale. Una pianta a croce greca, la cupola centrale, i suoi due campanili posti agli angoli del prospetto principale (sul progetto erano quattro per dare un’identica simmetria ad ogni lato dell’edificio), il rosso-giallo della facciata al posto del bianco-nero del gotico, le statue in marmo bianco,  le colonne e le decorazioni che adornano la porta già preannunciano il vicino avvento del barocco genovese. Varcato l’adito, il bianco uniforme degli interni amplifica la vastità dell’ambiente e la luce, giocando tra  gli imponenti piloni centrali, le lesene, i capitelli, le volte a botte, i cassettoni e le nicchie, esalta l’idea di una fede trionfale che si ricompone in una mistica sacralità solo nelle statue di San Sebastiano e di Alessandro Sauli, opere dello scultore marsigliese Pierre Paul Puget (1620 – 1694 sopranominato il Bernino della Francia). Particolari sono le ampie scale interne della cupola e quella, a chiocciola, del lanternino da cui si può ammirare l’intera città. Pregevoli sono, anche, i dipinti tra cui quelli di Domenico Piola, del Guercino, del Procaccini e, in particolare, la Pietà di Luca Cambiaso posta nel terzo altare, presso la tomba di Cristoforo Sauli. Sontuoso si presenta, poi, l’organo ligneo, uno fra i più significativi dell’arte organaria in Liguria, costruito negli anni 1656–60 dal fiammingo Willem Hermans.

La non agiata collocazione urbanistica della chiesa, dominante ma isolata, già dalla fine del Cinquecento, fece pensare alla costruzione di un ponte di collegamento tra la chiesa e il contesto cittadino. Inaugurato nel 1724, il viadotto, voluto sempre dalla famiglia Sauli, scavalcando la valletta fittamente abitata del Rivo Torbido (via Madre di Dio, via dei Servi… oggi via Gabriele D’Annunzio), univa e unisce ancor oggi il colle di Sarzano con quello di Carignano, un’opera notevole per i tempi, tanto che i disegni e i dipinti del “grande ponte” fecero il giro dell’Europa. Curiosità: a causa dell’elevato numero di suicidi, fu, alla fine dell’800, posizionata una ringhiera, realizzata grazie alla benefica donazione del mercante genovese Giulio Cesare Drago, per sbarrarne i parapetti, gli stessi che si vedono oggi, come ricorda una lapide posta nel 1880 che recita “perchè non passi consuetudine l’esempio antico e recente di gittare disperatamente la vita dal ponte di Carignano…”. Questa tragica usanza era talmente diffusa che i sagaci genovesi usavano dire ironicamente “pigiâ o ponte de Cavignan pe-o schaen da porta” (prendere il ponte di Carignano per “lo scalino” cioè per l’ingresso di una porta), per sottolineare quanto il ponte fosse “amato” dai suicidi.

Alcune testimonianze di quel periodo si ritrovano ancora oggi lungo il Corso che conduce alla zona di Corvetto e al Parco dell’Acquasola. All’altezza del Ponte Monumentale, un percorso s’incunea sotto un palazzo e svoltando a sinistra si immette in un’antica stradina che taglia trasversalmente Carignano seguendo il profilo della collina. Si dice che il tracciato attuale coincida con quello che era l’antico accesso che dal convento di San Leonardo portava all’omonima chiesa. Qui era il regno incontrastato dei famosi “orti di Carignano”, terre che appartenevano, intorno al mille, al vicino Convento di Santo Stefano, frutto di donazioni e lasciti, che si trasformeranno, nel ‘600, in una zona rinomata di villeggiatura come lo testimoniavano le ricche dimore di pregio. I muretti in pietra, gli slarghi e i sottopassi che si incontrano improvvisi, in questa creuza interdetta al traffico, accompagnano fino al Convento di San Leonardo, oggi trasformato nella Caserma Andrea Doria. Il complesso religioso, fondato nel 1317, dal vescovo Leonardo Fieschi, era nato con l’intento di ospitare circa quaranta religiose dell’ordine di Santa Chiara, un piccolo gruppo di frati francescani e un numero massimo di 12 fanciulle della nobile casata Fieschi che avessero voluto consacrarsi alla vita spirituale. In questa zona, oggi salita San Leonardo, era ubicata la casa-bottega del pittore genovese Domenico Piola e del “celebre” fratello Pellegro, assassinato da Giovanni Battista Bianco. Alla sommità della salita resiste il seicentesco complesso di Sant’Ignazio che oggi ospita l’Archivio di Stato. Il primo insediamento è quello conventuale (1676-1683) nato per ospitare i novizi a cui seguì la chiesa (1723-24) che presenta un’ ampia volta a vela poggiante su pilastri diagonali. Sopra l’altare maggiore si può ammirare una tela attribuita al Grechetto mentre i dipinti sopra gli altri due altari sono opere dell’Abbate Ferrari e quella di una cappella minore della scuola del Piola. Con l’arrivo dei Savoia  la struttura religiosa mutò  destinazione e fu trasformata in caserma, la Piave, che rimase attiva sino al primo dopoguerra.

CARIGNANO NELL’800

Nel 1825, Carlo Barabino presentò un primo piano urbanistico per adeguare Genova alle nuove esigenze dovute ad un veloce e progressivo aumento della popolazione nonché per rimodernare la città costretta in limiti architettonici di tipo medievale (vai al documentario “La rivoluzione urbanistica dell’Ottocento” realizzato in collaborazione con la Fondazione Ansaldo). Carignano era uno dei quartieri coinvolti nel progetto anche se, ancora nel 1848, la collina rimaneva essenzialmente una zona con poche costruzioni eleganti, silenziosi complessi conventuali, parchi, fontane che facevano da sfondo per feste ed eventi cittadini come la “Festa Grande, in occasione della ricorrenza dell’Assunta” la cui spettacolarità affascinò Stendhal o la memorabile ascensione di un pallone aerostatico avvenuta nel lontano 14 gennaio 1784 davanti al Palazzo del Marchese Vincenzo Spinola: “il pallone era in pelle di battiloro e salì all’altezza di trecento tese (circa cinquecento metri) e scomparve oltre le colline”. Di grandi rettifili se ne contavano solo due: quello che portava da Carignano alle Mura di Santa Chiara e quello che da qui giungeva in Piazza della Cava. Il Belvedere di Carignano, dunque, rappresentava, intorno agli anni 1830, un punto consueto di incontro per passeggiate: è del 1772 la proposta fatta dai Padri del Comune di realizzare una passeggiata pubblica che lasciasse passare le carrozze (due anni dopo la proposta venne realizzata) seguita da quella dell’Acquasola e solo a fine secolo si assisterà ad un vero processo di urbanizzazione con l’apertura di grandi vie come quella, Circonvallazione a mare, su progetto del 1867, per creare un tre-d’union tra il porto e il levante o di via Corsica, coeva di Corso Andrea Podestà, che, come cita un testo dell’epoca, nel 1887,  era “la nuova arteria, la più ampia e spaziosa della città”, nata sulle vestigia della più antica via Ginevrina. Su questo colle che aveva ospitato “cinquanta giardini, ossia ville di cittadini, molto dilettevoli, ornate di magnifici edifici e superbe case, fra le quali si commendano quelle di Madonna Mariola, madre del Cardinal Sauli, di Nicolò Gio. Batta e Giuliano Sauli… il palazzo del Conte Fiesco con la chiesa dell’Assunzione di nostra Donna, sotto il titolo di S. Maria Inviolata”, nascono nuove ed imponenti ville, su tutte Villa Figari, fatta costruire nel 1875 da Federico Mylius, con il suo imponente loggiato sull’orlo del muraglione (un tempo a picco sul mare), non da meno l’ottocentesca Villa Croce, costruzione dalle forme neo-classiche che, donata al Comune dalla famiglia Croce nel 1952, è oggi sede del Museo d’Arte Contemporanea di Genova, inaugurato nel 1985. Insieme alla villa, anche la Chiesa del Sacro Cuore e di San Giacomo risale al finire del XIX secolo (la posa della prima pietra avvenne il 13 ottobre del 1892 in occasione del 4° centenario della scoperta dell’America). Sorge poco lontano da preesistenti luoghi di culto, ormai scomparsi, come l’antica chiesa di Santa Margherita della Rocchetta e quella di San Giacomo, di cui  ha ereditato gli storici archivi. Quest’ultima, costruita nel 1154 per conto di Ansaldo Spinola, fu chiusa il 25 luglio 1890 e demolita quindici anni dopo per far posto alla piazzetta denominata “Poggio della Giovine Italia” dove nel 1833 vennero fucilati alcuni seguaci di Giuseppe Mazzini. L’attuale chiesa di san Giacomo, in stile neoromanico, presenta un’originale facciata, sormontata da un’alta torre ottagonale con sovrastante guglia, da cui la luce fluisce all’interno della chiesa attraverso 8 finestroni che, originariamente, erano chiusi da vetri  istoriati e che sono andati perduti nel bombardamento del maggio 1944.

Carignano oggi ospita uno dei principali nosocomi del genovesato, l’Ospedale Galliera o di Sant’Andrea come era chiamato il 14 marzo 1888, giorno della sua inaugurazione. Tra gli ospiti era presente un’anziana dama alla cui generosità era dovuta la costruzione del  monumentale complesso, la principessa di Lucedio, meglio conosciuta come Maria Brignole Sale, Duchessa di Galliera. Progettato dall’ingegner Cesare Parodi, i suoi albori non furono dei migliori in quanto l’amministratore unico Angelo Ferrari, scomparve all’improvviso con i 13 milioni stanziati per i lavori. La benefattrice è ricordata in una statua opera della scultore Giulio Monteverde posta nei giardini interni. A pochi metri di distanza dall’ingresso del Galliera, scendendo l’odierna via Banderali, compare come evocata dal passato una porta cinquecentesca dai battenti in legno che si apre nelle mura del Prato: la porta dell’Arco, uno degli storici ingressi nella città che si apriva dove oggi è ubicato il Ponte Monumentale. Era conosciuta anche come Porta di Santo Stefano per la vicinanza con l’omonima chiesa e, ancora oggi, si fregia di una statua del santo, opera scultoria di Taddeo Carlone. Fu spostata qui nell’Ottocento per far posto alla nuova strada in costruzione (1892), Via Giulia, attuale via XX Settembre.

Adriana Morando

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