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Leggende e tradizioni: il carnevale al tempo della Superba

Il Carnevale ai tempi della Superba
San Valentino, di Xenia Stresino
Illustrazione di Xenia Stresino

Com’era il Carnevale genovese nel Medioevo? Può sembrare incredibile ma era più chiassoso, più sfarzoso e più dissoluto di quello di Venezia. Se ne ha prime notizie in documenti del XIII secolo, in cui venivano accordate dilazioni ai debitori perché potessero partecipare alla festa con animo sereno.
Per le strade giravano persone mascherate, avvolte nei “domini”, ampi mantelli col cappuccio, o loschi figuri velati per i quali, invano, nel 1442, le autorità emanarono grida contro “l’usanza dei mimi” che perpetravano omicidi e stupri. Le danze tenevano banco al suono dei pifferi che intonavano la “Rionda”, un girotondo in cui i ballerini alzavano le gambe ritmicamente, muovendosi intorno ai numerosi falò accesi nelle vie della città, o accompagnavano la ”Moresca”, ballo che vedeva i partecipanti, vestiti in foggia spagnola od orientale, affrontarsi in sapienti inchini alternati a momenti dedicati a giochi d’arme: qualcosa di simile si può ancora vedere a Bagnasco, in val Tanaro, in occasione del Bal do Sabre.

Non mancavano le Gighe o il “Perigodin”, danza dei pescatori, derivanti dal perondino toscano e dalla périgourdine provenzale e ancora in uso, tra la fine ‘800 ed inizi ‘900, nelle alte valli Scrivia, Trebbia e Borbera. Il più “osceno” era, però, il ballo del “Bastone” (di cui non è rimasta descrizione) stante i numerosi tentativi di proibirlo e stante una definizione data dagli Inquisitori che lo attribuiva solo a “homini immorali e bagasce”.
Non mancavano le canzonacce come la “cansone del Balarifone” che, nel 1512, fu vietata perché ritenuta capace di ottenebrare la mente non solo “de secolari ma dei religiosi”: per i trasgressori era prevista una multa di 10 ducati, se adulti, mentre per i bambini erano in arrivo numerose ”patte”. Le autorità dovettero anche intervenire contro altri eccessi, proibendo, nel 1548, lanci dal balcone di “citrone, ova piene di farina et altre sporcitie, limoni et boghe”, punibili con una multa di 200 ducati d’oro.

Alla fine del 500, per volere dell’Accademia degli Addormentati e dei Magnifici della Repubblica, si introdusse l’uso dei “Carrossèzzi” (l’ultimo data 1872), sontuosi cortei che si svolgevano sulla spianata del Bisagno e dal 1783 da Piazza Fontane Marose lungo la Via Nuova e Nuovissima (Via Garibaldi e via Cairoli), via Balbi fino giungere in Piazza Acquaverde: le dame lanciavano fiori, i cavalieri piccole uova piene di fragranze profumate a differenza dei monelli, cecchini improvvisati, che prendevano di mira le carrozze con uova marce.

Il panorama delle maschere, di pregevole fattura, si arricchisce, in questo periodo, di nuovi personaggi: accanto al “Paisan” e alla pastorella “Nena” che si interrogavano con “dime un po’ comme son faete/ quelle cose ch’ei in sen” (dimmi come son fatte quelle cose che hai nel seno)… dime un po’, voi bello zueno,/comme l’ei o..berettin” (ditemi un po’ voi, bel giovane, come avete il… berrettino), spuntano il “Marcheize”, il “Mégu” con tanto di siringone e locuzioni latine o la “Balia”, in realtà un omaccione, con tette formato supermaggiorata. Le sfilate erano accompagnate da canti e filastrocche improvvisati “strapùntin”, indirizzati a nobili, arrivisti e politici o le “frottole“, storie inventate a tema vario.

Dal ’700 il Carnevale si trasferisce, dalle piazze, ai palazzi dei nobili mentre il popolo si riunisce nei “festoni” o nelle “lanternette” così chiamate dai lumi appese alle pareti. In particolare, nell’800, il luogo di riunione alla moda era il “Festone dei Giustiniani”: per entrare, un abbonamento costava 8 lire, la singola serata 80 centesimi. Tra il 1924 e il 1970 compaiono gli indimenticabili “carrettini”, inverosimili veicoli che davano vita al Gran Premio Indianapolis, alla fine delle “feriae matricularum” degli universitari genovesi. Dopo un lavoro di mesi, gli studenti si lanciavano lungo le discese del Righi su questi improbabili bolidi, passando per via Cabella, Manin, Via Assarotti e giungere, salvi ma non sempre sani, in Piazza Corvetto. Ah, dimenticavo le corse dei carrettini non ebbero mai una prima ed un’ultima edizione erano tutte rigorosamente la” 69esima”. Oggi il Carnevale, dopo alcune riedizione del “Grande Carnevale della via Aurea”, si celebra nel centro storico con sfilate di figuranti, giocolieri e balli in maschera e, per visitatori nostalgici, i palazzi nobiliari, trasformati in musei, aprono le porte offrendo musiche moderne per danze che sanno di antico.

Adriana Morando

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