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Da Belin a Bernarda, il lessico genovese

La parola più famosa del dialetto genovese e tutti i suoi derivati
Gatto Belin, di Gianmaria Rocchi
Illustrazione di Gianmaria Rocchi

Il lessico ligure è una vera entità linguistica che deriva da un condensato multietnico di popoli quali Celti, Fenici, Greci, Italici, Romani che si sono stabiliti nella regione, in varie epoche. L’impulso trasformativo maggiore, però, è da ricercare in quel dinamismo commerciale che ha fatto della nostra terra e, in particolare di Genova, il fulcro economico del mediterraneo ai tempi dei Dogi e dintorni.

Entrare in questo universo di parole alla ricerca di curiosità è compito arduo poiché tante e tali sono i lemmi che condensano l’arguzia popolare, che non risulta facile farne un’adeguata cernita. Esistono interi libri come quello di Dolcino, “E parolle do gatto”, o capitoli come “parlar camallo” di Orselli e Roffo in “Genova segreta”, che trattano diffusamente l’argomento da cui mi permetto di estrapolarne alcune scurrili o solo sconvenienti parole, che sono le più colorite, note ed usate del nostro folklore.

AAA come “abbolicciou” che, lungi dall’essere un crudo termine omofobico, stigmatizza solo mollezze comportamentali poco mache, “abbelinou” (credulone rimbecillito) il cui significato è sintetizzato magistralmente nel detto “ese ciù abbelinòu che lungo”.
Questo termine porta, al suo seguito, delle variazioni sul tema che vengono esposte in modo stringato ma efficace in un testo di Fochessato che riportiamo integralmente: “abbelinòu saieiva mi che son vegio se scappesse co ‘na bella figgia de vint’anni. O belinon (tontolone) l’è un comme Enrico Toti ch’o l’ea senza una gamba o l’è aneto in guaera, o gh’a tiou a stampella e o s’è faeto ammassà. A belinn-a o l’è un belinon ma cattio.” (Abelinato sarei io,che son vecchio se scappassi con una bella ragazza di 20 anni. Belinone è uno come Enrico Toti , che era senza una gamba, è andato in guerra, gli ha tirato la stampella e si è fatto ammazzare. Belina è un belinone ma cattivo.)

Non può mancare il celebre “belin”, da cui tutto nasce, che può essere usato con sfumature che vanno dal risentito al meravigliato, dallo sconsolato al beffardo. Sua sorella di “merende” é la “bernarda”, antica botte dal larghissimo foro in cui facilmente si poteva introdurre il bicchiere e il cui analogismo glottologico mi sembra superfluo spiegare.
Sempre in tema di attributi “cuggiun” e i suoi parenti “cuggia” (frottola) e “cuggionà” (presa in giro) non vengono disdegnati nei momenti opportuni. Da quelle parti si trova anche “ciappa” e la colorita espressione “vanni a dà do cu in ciappa” riferito alla pena con cui si condannavano i debitori a battere il deretano su una pietra.

Galuscio (sterco) usato come insulto è un termine più desueto e volgare meglio un bel “merdaieu” (chiatta che portava fuori dal porto i rifiuti) che dal letame, come dice Fabrizio De Andrè, nascono i fiori a consolazione di chi ne risulta destinatario.

Adriana Morando

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